Cosa doveva fare un padre come Mohamed Hasoun , 48 anni, laurea in economia (si, avete capito bene, laureato in economia) fuggito da Aleppo, in Siria perché voleva raggiungere in Germania alcuni suoi parenti, quando uno dei trafficanti di uomini gli ha strappato di mano lo zainetto che conteneva l’insulina per sua figlia e lo ha gettato in mare? Che poteva fare oltre alle proteste e alla produzione naturale di lacrime dure urlando quasi che Raghad, la sua bambina che avrebbe compiuto 12 anni il 21 agosto, rischiava di morire? Poteva solo sperare che i soccorsi arrivassero subito, che l’Italia si sarebbe subito materializzata. Ed invece diversi trasferimenti di barche, sussulti di un cuore che pulsava e ansimava. Raghad cominciava ad avere problemi di respirazione e non riusciva neppure a bere. Che poteva fare quest’uomo quando ha visto la figlia, mentre diceva con una voce flebile “mamma”, morire tra le sue braccia? Che poteva chiedere Mohamed al comandante del traghettatore di variegata umanità se non una degna sepoltura, oppure provare a ritornare indietro? Ed invece è stato costretto a buttarla in mare. La sua bambina. Io mi chiedo e vi chiedo: cosa facciamo noi quando ci viene consegnato un codice verde per il nostro figlio punto da una zanzara o da una spina di riccio, cosa facciamo davanti alla fila alla ASL per una visita medica, quando negli ospedali l’attesa è snervante, quando siamo in fila al semaforo e non si cammina perché qualcuno ha parcheggiato in seconda fila? Ditemi: cosa facciamo? Utilizziamo tutte le urla del mondo e le riuniamo per indignarci, perché per noi quella spina di riccio è un codice rosso, perché quell’attesa al casello ci fa perdere l’appuntamento a qualche compleanno, perché noi siamo sempre al centro dell’universo. Gli altri non esistono. Sono uomini che fuggono, peggio per loro. Non ci riguarda. Ditemi: guardandoci la sera, quando ci siamo calmati, quando le luci soffuse raccolgono le fatiche della giornata, quando ascoltiamo una notizia del genere, davanti a quel figlio punto dalla spina di riccio che gioca tranquillo, proviamo almeno vergogna? Ecco, spero e credo proprio di si. Almeno, questo è il mio pensiero. Mohamed, ingegnere di 48 anni, fuggito dalla disperazione non ha ottenuto nessuna attenzione, nessun codice a colori e nessuna pietà ha salvato la figlia. Tanto era solo un migrante, vero?
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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