Paolo Piras è un inviato della Rai e di cose da raccontare ne avrebbe, in quegli spiragli di libertà che un giornalista deve necessariamente concedersi per evadere dal suo diligente compito di redattore della Tv di Stato. Paolo questa ricreazione l’ha dedicata ai Camboni, come i cagliaritani (e Piras, modestamente, lo è) chiamano i calciatori meno dotati tecnicamente. Naturalmente i Camboni (calcistici, ma anche antropologici) raccontati sono tenuti assieme dalla maglia rossoblù, da tutti indossata negli ultimi cinquant’anni: siano essi passati dall’Amsicora o dal Sant’Elia, quando il Cagliari stava in cima alla serie A o annaspava nei bassifondi della Serie C. Non solo calciatori, ma anche dirigenti e allenatori. Minguzzi, Osellame, Logozzo, Katergiannakis e tanti altri fino a grattare il fondo con l’inarrivabile Victorino, noto El Piscador, giunto dall’Uruguay alla riapertura delle frontiere, ben presto rivelando quanto le entusiastiche recensioni di molto presunti campioni d’oltreoceano potessero essere ingannevoli (anche se qualcuno, ad esempio Fiorenzo Caterini, continua a ritenere ancora oggi Victorino un vero asso della boccia, solo giunto in Sardegna fuori tempo massimo, a carriera irrimediabilmente finita). E del picaresco presidente Amarugi, che sfuggì alla giustizia nascosto nel portabagagli di una berlina, ne vogliamo parlare? Si può scrivere un libro sui brocchi?
Se si possiede la penna di Piras e un amico chiamato Gianni Mura disponibile a scriverti la (notevolissima) prefazione, la risposta è sì. Ma aiuta molto anche la storia di un club ricca di personaggi (nel vero senso del termine) che sarebbe stato imperdonabile disperdere. E assai utile è stata pure la prima fase seguita alla già citata apertura delle frontiere, allorché dalle rotte sudamericane piovvero su Elmas bidoni solenni spacciati per fuoriclasse assoluti.
“Bravi o Camboni” (edizioni Egg, 248 pagine, 14 euro) è un libro da leggere con entusiasmo: aiuta conoscere i fondamentali del calcio, ma uno può gustarselo anche se non ha mai afferrato la regola del fuorigioco o non sa cosa sia un terzino fluidificante. Semplicemente perché sotto la divisa sociale del calciatore si nascondono sempre un uomo e la sua storia personale, cosicché in alcuni ritratti lo sgambettare di costoro su un prato sembra solo un dettaglio. Una precisazione: il libro immortala anche figure leggendarie del Cagliari calcio, perché davvero non si può raccontare l’arte della pedata nel capoluogo tralasciando Gigi Riva, Gianfranco Zola o Manlio Scopigno. Ma quelli sono i bravi, di cui un po’ tutto già si sapeva. Come si sa abbastanza di elementi fermatisi nella terra di mezzo, né fuoriclasse né pippe, uno per tutti il talentuoso Fabian O’ Neill, tradito dall’alcool. Io mi sono divertito di più nel leggere le storie di certe comparse che, proprio per effetto della loro broccaggine, godranno di fama eterna. Ecco, un aspetto decisivo che stavo quasi dimenticando: bravo o cambone, il giocatore del Cagliari è sostanzialmente quel che l’entità pubblico pensa di lui, il modo in cui lo raffigura. Se quel singolo non si chiama Riva, Zola o Francescoli – in quel caso classe superiore e risultati sportivi parlano per lui – diventa l’istantanea che il tifoso ha catturato, estremizzandone ora le lacune ed altre volte le effimere virtù. C’è una pagina, in questo godibilissimo libro, da incorniciare: descrive gli angosciosi frangenti nei quali per la porta del Cagliari, stagione 1984-85, si profilava la minaccia di una punizione dal limite. Il portiere di quella squadra, Vincenzo Minguzzi, nel posizionare la barriera era davvero scarso: Paolo racconta strepitosamente l’ansia delle tribune e la tormentata disposizione della barriera, risultato di un’opera collettiva. Ma Piras è anche un giornalista di razza. Chi non lo conosce, lo può capire quando spiega senza concessioni il personaggio Massimo Cellino. Senza concessioni a Cellino, senza risparmiare certi penosi particolari del rapporto tra la stampa tifosa e le autorità cittadine.
Perché si può essere tifosi senza smettere di essere giornalisti e acuti osservatori del mondo, anche quello racchiuso in uno stadio.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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