Ora non è più tempo per le parole. Non si trovano più, mentre ci troviamo a sfogliare immagini terribili, senza alcun senso. Non importa neppure comprendere come sia cominciata questa maledetta storia, non adesso comunque. Importa che si smetta. E neppure in nome di ogni Dio che ognuno prova a venerare dentro una città che emette preghiere e non sa ascoltare. Smettetela per pietà, per dignità, smettetela per un attimo e provate a guardare il sangue di questi bambini di Gaza: non è forse lo stesso di quello dei bambini di Auschwitz, di Dachau e degli altri terribili campi diconcentramento? Sono stato a Gerusalemmeal museo dell’olocausto, nel silenzio dell’orrore a vedere foto di bambini quasi sorridenti ed ignari. Bambini ebrei mandati a morire senza neppure comprendere perché fossero statii prescelti, perché fossero i perseguitati. Gli stessi occhi, gli stessi sguardi, sappiatelo, li hanno anche i bambini di Gaza. In questa città santa, dove Dio non riesce a comprendere le preghiere di nessuno, ho visto adolescenti palestinesi che osservavano con muto silenzio adolescenti militari israeliani, camminare con il mitra sulla spalla nel suk della porta di Jaffa. E ho notato lo stesso livore che si prova quando si è impotenti, come i bambini e tutte le vittime di Gaza. Provate a ricordare le parole di chi ha vissuto il genocidio ebreo: “prima ti portano via tutto, poi ti torturano e ti spezzano le gambe”. Ecco, non è più tempo per le parole. Basta un gesto: smettetela.
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Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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