Certo che esiste ancora la lotta di classe, magari, più che una lotta, in certi momenti appare come una scaramuccia, ma la divisione vera resta sempre quella tra ricchi e poveri, che ha dato forme alla storia del mondo già da molto prima che Marx ne ragionasse sopra. Però ci sono momenti in cui fanno capolino altre curiose divisioni che il vecchio barbuto avrebbe forse chiamato sovrastrutture, pur se alcune di esse sembrano bene radicate nella struttura economica motore di tutto. Una che da qualche anno si affaccia prepotente è quella tra vecchi e giovani. De Sica negli anni Quaranta diceva “I bambini ci guardano”, ora direbbe che effettivamente più che guardarci ci odiano. Direte che sto scoprendo l’acqua calda, che da quando Berta filava (a proposito, quand’è che Berta filava? Boh, probabilmente tanto tempo fa, che è un altro modo di dire abbastanza generico, e perché poi ha smesso di filare?) c’è sempre stata una divisione tra vecchi e giovani: “Farabutto, mangiapane a tradimento, io alla tua età…” ecc. E dall’altra parte: “Sei fuori dal mondo, non mi capisci perché io vivo nel presente e tu nel passato” e via dicendo. Ma io parlo di divisioni serie e non di queste stupidaggini che in ogni percorso esistenziale si risolvono prima nel rifiuto e poi nel rimpianto delle figure genitoriali, delle quali si apprezzano, spesso ormai troppo tardi per dirglielo, esperienza e insegnamenti, cucendo così una continuità che sembra infinita. Parlo di conflitti generazionali sino a ora non troppo clamorosi soltanto perché non esistono le condizioni generali che in altri momenti hanno portato simili conflitti a incendiare le piazze, come avvenne a esempio nel Sessantotto. Negli ultimi anni ci sono stati tre di questi momenti abbastanza diffusi in tutto l’Occidente. Il primo è cominciato una decina di anni or sono, quando molti giovani hanno preso brutalmente coscienza della loro precarietà lavorativa e dell’indefinita fine del loro percorso di fatica in un pensionamento, scoprendo che il “fine lavoro mai” era una possibilità molto concreta, insieme a quella dell’ “inizio lavoro mai”. E allora dai social ma anche nei comportamenti familiari ha cominciato a trapelare un odio non di classe ma di generazione, rivolto a chi campa senza lavorare. Noi anziani ce ne sentivano ingiustamente oggetto, manifestando i nostri diritti maturati in una vita di lavoro e di contributi e ricordando che le nostre pensioni svolgevano un ruolo oggettivo di cuscinetto sociale poiché contribuivano al mantenimento dei tanti giovani disoccupati e a tenere viva con gli acquisti una produzione di beni con la relativa creazione di posti di lavoro. Ma se l’odio generazionale era sterile, altrettanto lo era il nostro Radames discolpati, incoscienti del fatto che la precarietà presente e futura dei giovani era il frutto dei debiti contratti dalle generazioni precedenti sulla schiena di quelle future per garantirci pensioni e altri vantaggi.L’altra frizione avvenne successivamente quando si prese coscienza del fatto che stavamo distruggendo la terra, che con la nostra conduzione di sfruttamento delle risorse naturali stavamo togliendo ai posteri non soltanto la pensione ma la possibilità di esistere. E la battaglia ecologista prese in quegli anni connotati spiccatamente generazionali, per la coscienza diffusa tra i giovani che lo scioglimento dei ghiacci (per i giovani locali: se le cose continuano così, quelli che nascono ora potrebbero fare in tempo a vedere il mare di Platamona arrivare alla seconda rotatoria della Buddi Buddi, con conseguenze immaginabili per insediamenti quali Porto Torres e Castelsardo e i casotti della Marina di Sorso) e il clima monsonico che sostituiva ovunque quello mediterraneo erano problemi che si sarebbero dovuti grattare loro più dei vecchi che li avevano provocati. La bellissima smorfia di Greta Thunberg al passaggio di Trump che aveva provato a sfotterla con qualche sgrammaticato cinguettio, è per me il simbolo di questo secondo momento.Il terzo è l’attuale, quello del Covid, nel quale molti giovani, convinti non del tutto a torto che questo malanno sia più letale per i vecchi che per loro, si sentono ingiustamente limitati nella loro voglia di vivere anche nei bar o nelle movide e nella loro necessità di andare a scuola e all’università. E noi diamo loro degli incoscienti, anziché cercare di capire che questa loro rabbia è un sentimento che noi stessi abbiamo alimentato, non il semplice egoismo di chi se ne frega del fatto che tornando a casa dopo la notte in discoteca trasmetterà il virus con effetti letali ai genitori o ai nonni che lo mantengono agli studi o semplicemente in vita.Il primo di questi tre momenti è stato strumentalizzato sfacciatamente, soffiando sul fuoco del malumore diffuso e generico, da chi alla precarietà dei giovani aveva contribuito largamente creando un sistema dove i beni sono maldistribuiti e dove la finanza ha parte preponderante rispetto all’industria che crea lavoro e al potere degli Stati che deve disciplinare l’economia pur rispettando mercato e libertà d’impresa. Per intenderci, non rimpiango i Piani Quinquennali di Stalin, ma anche il New Deal di Roosevelt ora verrebbe considerato roba da assalto dei bolscevichi al Palazzo d’Inverno con relativa dispersione delle ceneri dei rivoluzionari moderati. Vi immaginate un rappresentante dello Stato che, per fare l’esempio più banale, abbia ai giorni nostri il coraggio di dire alla Fiat che siccome dallo Stato ha avuto molti aiuti ora dovrebbe restituire qualcosa al popolo italiano? A questa potente categoria andava bene che i ragazzi pensassero che la colpa di tutto era dei pensionati nullafacenti che rubavano i soldi.Il secondo, quello ecologista, ha provocato forse qualche risveglio di coscienza ambientalista subito fortemente repressa dal fenomeno populista che proprio in quegli anni ha preso saldamente spazio in tutto il mondo occidentale: da Trump a Boris Johnson quella della fine del mondo prima del tempo era sciocchezza da ragazzini profeti di sventura.Ma a proposito di disgrazie epocali, gli stessi populisti hanno cercato e cercano di cavalcare alla grande il terzo malumore generazionale provocato dall’attuale peste virale, con Trump che dice ai giovani che la mascherina è roba da vecchi conformisti e Salvini che ogni dieci minuti controlla i sondaggi di opinione prima di dire se bisogna stare attenti a non baciarsi in bocca tra sconosciuti e ogni tanto aggiunge che uno Spritz tra amici al bar non ammazza nessuno.Il proposito di fine anno? Il mio è di guardare in faccia il primo di questi ragazzi che mi capiterà sotto tiro e, a costo di farmi prendere per il culo, dirgli: “Perdonami, se puoi. Ma ora lavoriamo insieme, forse posso ancora esserti utile”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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