Hanno vinto i Maneskin, come speravo e secondi sono arrivati Fedez e la Miechilin come avevo scritto (in realtà avevo previsto la loro vittoria) nel post successivo. Questa, diciamolo subito, è una vera e propria rivoluzione. E’ come se nel 1983 avesse vinto Vasco Rossi con “Vita spericolata”. Ci siamo arrivati soltanto 38 anni dopo. Nel 1983, per dire, vinse Tiziana Rivale e l’anno successivo Al Bano con Romina Power. Un po’ di rock lo portò Ruggeri nel 1993 che vinse con Mistero ma sprofondammo nel buio nel 1997, edizione vinta dai Jalisse, per non parlare di quella successiva che portò al trionfo Annalisa Minetti. Tra le edizioni peggiori vorrei ricordare quella in cui vinse Povia (era il 2006) e tra le migliori proprio l’anno successivo dove si impose Simone Cristicchi attuando una piccola rivoluzione: ti regalerò una rosa rimane una delle perle della canzone italiana. In effetti, a pensarci bene, le ultime due edizioni del festival hanno costruito, con inesorabile calma, una lenta ascesa del “nuovo che avanza” premiando Mahmmood e lo scorso anno Diodato (altra bellissima canzone). Poi sono arrivati loro, i Maneskin e tutto, davvero, è cambiato. Sono un bel mixer di suoni duri, secchi, metallici e parole graffianti, che fanno male (siamo fuori di testa, ma diversi da loro). Sono la quintessenza della forza, diamanti grezzi da ammirare, musica che fa sobbalzare. Non dovevano vincere e, in realtà ci avevano provato a sbarrargli la strada: Noemi, Annalisa, Ermal Meta e, soprattutto Fedez e Francesca Michielin con la corazzata Ferragni e i suoi appelli ai milioni di fan di votare per il duo “Fedemic”. Ma il televoto, quello che ha rivoluzionato la classifica, ha camminato su strade diverse. Chi era sintonizzato su twitter (#sanremo2021) si è reso conto, da subito, che la rivoluzione stava cominciando. Tutti i tweet erano per loro e per Madame (premiata, a ragione, come miglior testo del festival) e lo si capiva da subito che era in atto la rivoluzione: dovete votare i Maneskin e non i Fedemic. Così è stato. I rivoltosi hanno preso il potere e su quel palco, primi, ci sono finiti i ragazzi urlanti, freschi, irriverenti, dolcissimi e tostissimi dei Maneskin. E per la prima volta la rivolta è partita dal popolo nerd e non dall’aristocrazia della sala stampa e neppure dalla medio borghesia della giuria demoscopica che non rappresenta più il paese. Qualcuno obietterà che neppure i Maneskin rappresentano un paese arrotolato nel silenzio e nella rabbia, però è ben pennellato dalla frase della canzone della band: “parla, la gente parla, non sa di cosa parla”. Hanno vinto quelli che comprendono la pancia del paese e la canzonano, lo dicono apertamente e lo mettono tra la batteria, i bassi e quel profondo rumore che è il rock. A continuare senza di loro ci avremmo messo almeno altri trent’anni tra Renga e Berti, tra Tozzi e Raf a comprendere che esisteva altro di più interessante: Madame, Peyote, Coma_cose, Irama, la rappresentante di lista. Per capire questa rivoluzione Vasco Rossi avrebbe dovuto vincere quel festival nel 1983. Lo hanno fatto i Maneskin per lui e un po’ per noi. Beati quelli che prendono la musica leggera come un contorno: qualcosa che riscalda la vita e ci porta a canticchiare qualche brano. Tra qualche mese molte delle 26 canzoni non le ricorderemo più, come quello dello scorso anno e degli anni addietro. Ma i Maneskin rimangono. Mica sono dei Jalisse qualsiasi. Al prossimo anno e speriamo con Ibra protagonista soltanto in un campo di calcio che è, ricordiamolo, musica altra.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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