Ventidue giorni di arresto. Col divieto di uscire da casa dalle 22 alle 7, col divieto assoluto di lasciare la Regione di residenza finché la condanna di cinque mesi e venti giorni non fosse stata scontata completamente. Trattato da criminale comunque senza aver commesso alcun reato, per un assurdo corto circuito della giustizia italiana. Se non fosse che Antonio Cipriani non è un criminale, ma un giornalista che ha trascorso la sua vita a raccontare le realtà italiane. Lo conosco bene, perché è stato il mio direttore ad Epolis, lo sfortunato progetto avviato dall’editore Nichi Grauso nel 2004. Ho mantenuto i rapporti con Antonio per tutti questi anni, per pura amicizia, senza aver condiviso con lui altre esperienze professionali. Antonio Cipriani era finito in affidamento a gennaio, perché giudicato colpevole di omesso controllo su un articolo ritenuto diffamatorio, scritto da un altro giornalista. Ad Antonio, insomma, è stata imputata la colpa di non essere stato abbastanza attento a quanto pubblicato dal quotidiano che guidava. Cosa impossibile, se si considera che in quel periodo Epolis aveva forse una decina di edizioni locali, dieci giornali che un solo uomo avrebbe dovuto leggere rigo per rigo. Ma l’aspetto davvero inaccettabile della vicenda è un altro. Il giornalista accusato di diffamazione è stato assolto, perché i giudici hanno ritenuto essere stato correttamente applicato il diritto di cronaca. Quindi, incredibilmente, Cipriani era finito in carcere per omesso controllo su un pezzo che in realtà diffamatorio non era. Ieri pomeriggio, erano le 17.23, ho ricevuto un suo messaggio: “Incredibile ma vero, hanno accolto la mia richiesta di riesame e mi hanno scarcerato”. La mia prima reazione è stata di pura felicità, per un amico ed un collega che riacquista il più importante dei valori: la libertà. Poi si è fatta strada l’amarezza: l’ingiustizia era stata comunque commessa, un uomo è stato comunque umiliato, da innocente ha dovuto implorare aiuto e bussare a tutte le porte possibili per avere quel che gli era dovuto, per ottenere un briciolo di buon senso. Quando Antonio aveva perso le speranze, la Corte D’Appello di Cagliari questo sussulto di buon senso lo ha avuto e lo ha tradotto in un ordine di scarcerazione. Ma un Paese civile non può permettere queste schifezze, non può levare la libertà ad un galantuomo senza colpa. Vi chiedo solo una cortesia. Non paragonate la disavventura di Antonio Cipriani alla vicenda giudiziaria in cui fu coinvolto Alessandro Sallusti, salvato dall’arresto dalla Grazia firmata da Giorgio Napolitano: sono due fatti che non c’entrano nulla l’uno con l’altro. Sallusti era colpevole per sua precisa responsabilità, Cipriani era innocente, Sallusti poteva muovere la penna di un Capo di Stato, Cipriani non aveva questa forza. Per questo l’ingiustizia brucia di più.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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