Flavio Briatore
“Nel 2012 a Roma operavano 1700 falegnami oggi sono 931”, Corriere della Sera, 11 luglio 2020.
“I falegnami rischiano l’estinzione. I giovani non scelgono il mestiere”. La Nazione, 8 settembre 2018.“Falegnami a rischio estinzione L’allarme di Confartigianato nel settore del legno e arredi”. Il Resto del Carlino, 22 aprile 2023.
L’elenco è molto più lungo. Per ragioni di spazio lo riassumo con questi tre titoli che mi sono apparsi subito cercando su Google le parole chiave “Falegname. mestiere, estinzione”.Ho dedicato un minimo di tempo a questa ricerca perché volevo capire se, nella solita polemichetta estiva che coinvolge Flavio Briatore, l’interessato avesse torto marcio o una qualche ragione.Per potermi fare un’idea più precisa della contesa, sono anche andato ad ascoltarmi la dichiarazione testuale di Briatore.
I quotidiani e i social, come sapete, hanno sintetizzato il tutto con lo stringato titolo “I figli dei falegnami devono fare i falegnami”, attribuendo a Briatore un’idea di società statica molto medievale, rigidamente divisa in caste, nella quale le tradizioni dei mestieri dovrebbe essere tramandate di padre in figlio e a questi figli dovrebbe essere impedito di studiare, gravando su di loro la responsabilità di dover mantenere viva la vocazione del casato.Solo che, riascoltando il contraddittorio tra Briatore e Bianca Berlinguer, a me non sembra affatto che Briatore si sia fatto sostenitore dell’obbligo di trasmissione dei mestieri per via ereditaria, auspicando questa rigidità nei destini professionali.L’uomo del Billionaire non brilla nell’efficacia della comunicazione, lo sappiamo tutti. E sappiamo anche bene che certe sue spericolate uscite, in passato, sono più che giustamente state accolte con scherno e pernacchie, tanto erano assurde le tesi espresse sulla sua idea di turismo o di politica.Ma stavolta Briatore ha detto altro, rispetto a quanto gli è stato attribuito. Per come ho letto io la sua dichiarazione, ha semplicemente segnalato che il nobile mestiere di mastro d’ascia perde drammaticamente addetti e che i titolari di queste piccole ditte, non vedendo un futuro per le loro imprese, preferiscono che i loro figli facciano altro. Anche andare all’Università, ha aggiunto Briatore, e a questa chiosa si deve lo scandalo.
Io non ci vedo invece nulla di scandaloso e di classista e, anzi, percepisco una comprensibile preoccupazione per competenze e saperi che vanno perdendosi.Perché, allora, questo polverone?Perché il mondo della comunicazione ha i suoi riti e i suoi tempi, secondo cadenze ripetitive e prevedibili, secondo cliché che devono assecondare il pregiudizio e spesso, proprio per questo, approssimano grossolanamente il reale significato delle parole. Quindi, ad ogni inizio estate, il lettore si aspetta che l’antipatico Briatore la spari grossa e alimenti una polemica sulla quale si possano riempire le pagine delle cronache per qualche giorno, soffiando ogni giorno sul fuoco dell’indignazione in modo da creare un caso che, ora dopo ora, da minuscola slavina diventi frana gigantesca.Nel gioco dell’informazione, a Briatore è stato cucito addosso questo ruolo: il ricco giunto dal nulla che ha imparato l’arroganza del potere ed è convinto di poter comprare tutto col denaro, non avendo letto abbastanza libri per poter attribuire un’equa importanza ai valori del mondo.Però i dati dicono che di falegnami ce ne sono sempre meno. Ma nel polverone della polemica, l’unico vero punto importante è andato perso.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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