Non sono mai stato convinto che i politici siano peggiori del popolo che li sceglie, come sempre diciamo per sentirci migliori. Sono però abbastanza certo che i calciatori siano gente più degna di quei tifosi che il giorno prima li esaltano e il giorno dopo li vorrebbero linciare, senza mai aver visto un campo da calcio se non attraverso lo schermo di una tv. Dimenticando che i successi e gli insuccessi nel calcio sono separati da pochi centimetri, dalla scelta giusta o sbagliata che si è dovuta compiere in un tempo troppo breve persino per poter essere calcolato.
Graziano Pellé non sarà ricordato come un fenomeno del pallone. Un buon mestierante, un corazziere tutto muscoli e volontà che gioca più per la squadra che per se stesso: quando arriva il calcione in avanti dal portiere, lui fa valere i suoi 193 centimetri, anticipa quasi sempre il difensore, tiene palla per far salire la squadra e poi la affida al compagno d’attacco più veloce e abile nel gioco a terra. Questo sa fare e questo fa, senza pretese estetiche e con l’umiltà di chi conosce i propri limiti. Così si è guadagnato una buona carriera all’estero che continua ancora oggi, a trent’anni suonati. E pazienza se i suoi passaggi sono spesso troppo corti o troppo lunghi: non è un fenomeno nei fondamentali, lo abbiamo già detto. Però il pugliese Pellè, di cui il corregionale Conte ha grande considerazione, in quest’europeo ha dimostrato di meritare fiducia. Si è dannato, ha corso senza mai fermarsi, ne ha prese e ne ha date, ha segnato due gol pur giocando molto spesso con le spalle alla porta. Sapete cosa significa guadagnarsi la fiducia di un allenatore come Conte? Significa, appunto, correre con criterio per tutta la partita. E se si corre per tutta la partita a quei ritmi, contro i fenomeni di Spagna e Germania, significa che ci si è allenati come vuole Conte. E come ci si deve allenare perché Conte sia soddisfatto? Solo un aneddoto. Alla fine del suo primo allenamento alla guida tecnica della Juventus, nel mese di luglio del 2010, tre giocatori finirono la sessione con i conati di vomito, svenuti dalla fatica. Forse essere calciatori professionisti non è così facile come crediamo, non è solo corsette, vacanze, soldi e figa a volontà. Per tre settimane, Pellè era diventato una specie di idolo del calcio operaio. Lottava e segnava pure. Poi ha sbagliato un rigore contro la Germania ed è finito sotto processo. Su Facebook qualcuno ha espresso la sua indignazione, prevedendo un Pellè a breve in vacanza a Formentera, in compagnia di qualche velina (Pellè avrebbe in realtà una compagna stabile, per chi si interessa di gossip), anziché in un eremo lontano da mondo, a fustigarsi per espiare la propria imperdonabile colpa. Però il problema non è stato tanto il rigore sbagliato, quando il gesto indirizzato al portiere Neuer prima dell’esecuzione. Pellè ha incurvato il dorso della mano, mimando “lo scavetto”, come se volesse sfottere il suo diretto avversario: calciare un rigore in quel modo beffardo è considerato uno specie di affronto al portiere. Questo comportamento ha scatenato la rabbia dei tifosi che, fino ad un minuto prima, esaltavano le qualità del centravanti azzurro. Una testata online ha chiesto che Pellè non sia più convocato in nazionale. Pellè in realtà il rigore l’ha calciato normalmente, sbagliando però la mira per qualche centimetro. Ma ormai il processo era partito e un colpevole da condannare individuato. Ho provato a mettermi nei panni di Graziano Pellè e a riprodurre quel duello psicologico, prima che sportivo. Da un lato un calciatore di secondo piano, diventato sorprendentemente titolare della nazionale, teso per la responsabilità che lo attende. Dall’altro lato, ad undici metri di distanza, il portiere più forte del mondo, un colosso agile come un gatto, coraggioso come un leone e per giunta con i piedi da centrocampista. Forse Pellè ha dimenticato di essere altro quasi due metri e si è ritrovato piccolo piccolo, di fronte a un mostro sacro del calcio capace di mettere in soggezione ogni avversario. Forse ha cercato di farsi coraggio, affrontando con quel gesto impertinente il fuoriclasse davanti a lui, come si fa quando si urla forte prima di una prova impegnativa per dimostrare a se stessi di non aver paura. Forse voleva solo scherzare, perché chi mai sarebbe così scemo da anticipare all’avversario la mossa che ha intenzione di compiere? No, per il tifoso comune Graziano Pellè non doveva tradire emozioni, doveva raggiungere il dischetto come un automa e calciare senza pensarci, doveva genuflettersi e tacere di fronte ad un giocatore molto più titolato di lui. Per certi tifosi, un calciatore non è un uomo. È così, l’eroe umile che aveva segnato contro il quotatissimo Belgio e i campioni in carica della Spagna è diventato in pochi secondi il responsabile di una onorevolissima sconfitta, il parafulmine su cui scaricare una delusione subito convertita in furore cieco. Gianluca Vialli fallì un rigore al mondiale del 1990. Intervistato dopo la partita, disse che aveva sentito addosso il peso di cinquanta milioni di vaffanculo piovuti su di lui nello stesso istante. A Pellé forse è andata anche peggio. Per un gesto banale è diventato un bersaglio e tutte le botte prese, le corse, gli scatti, gli sforzi compiuti e i gol segnati fino allora sono svaniti, dimenticati, mai esistiti. “Non si ricorderà nulla di quel che abbiamo fatto”, si è rammaricato Andrea Barzagli. Un rigore è una faccenda di riflessi, di attimi, di fortuna, di centimetri, magari di destino. La settimana scorsa, Messi ha sbagliato un rigore decisivo in una finale: Messi è il più forte calciatore al mondo. Non è certo da un rigore che si vede il talento di un calciatore, ma certo da un rigore puoi vedere l’ingratitudine del tifoso.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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