Stasera andrò a sentire che cosa si dirà in un incontro promosso dal Pd e aperto pure ai non iscritti. Sarà interessante sapere se nella mia città il disastro del 4 marzo ha innescato anche ragionamenti interessanti. Perché il timore che vorrei accantonare è che questo disastro assuma alla fine le valenze misteriose, ineluttabili e soprattutto autoreferenziali del mondo chiuso e impiegatizio di Bristow, il vecchio fumetto di Frank Dickens dove ogni tanto qualcuno rievocava “il grande disastro del carrello del tè del ‘67”, come l’episodio mitico – raccapricciante ma infine piacevolmente emozionante – che aveva scosso la grigia vita dell’esercito grigio della grande ditta inglese. Questo disastro potrà essere utile soltanto se formerà nuova classe dirigente politica per la sinistra. O fare capire alla classe dirigente della sinistra già esistente che il ruolo di una simile categoria non è quello di andare alla caccia di consenso inseguendo le opinioni correnti ma di creare opinioni. Siamo nelle celebrazioni del cinquantenario del Sessantotto. E se un po’ mi rattrista questo Sessantotto consegnato ufficialmente alla storia perché significa che sempre ufficialmente io ho più anni di un pappagallo, dall’altro un pochino mi inorgoglisce constatare che nei libri sui quali si studia e si danno esami c’è anche un pezzo di vita mia. Se sintetizzo in una sensazione unica il mio Sessantotto penso alla coscienza continua, quotidiana, del fatto che eravamo una minoranza chiassosa che aveva qualcosa da dire e che creava pensieri e opinioni sempre più diffusi che uscivano decisamente dal mondo piccolo che era il nostro per entrare nel grande mondo. Cioè, noi studenti apparentemente dogmatici e isolati, noi studenti che gridavamo nei cortei “Giap,Giap, Ho Chi Minh!” a una città che non sapeva neppure che cosa fosse il Vietnam, in realtà eravamo classe dirigente. Così come negli altri grandi “Otto” della storia c’è sempre stata una classe dirigente che nella sconfitta ha tracciato vie di pensiero e di azione. Nel 1848, dove una minoranza di intellettuali, pur nelle sconfitte finali, introdusse l’Europa (che allora era il mondo) in un’epoca di civiltà travolgendo l’Antico Regime. E anche il 1948 italiano della sinistra sconfitta dalla Dc fu infine la vittoria di una classe dirigente coraggiosa che pur nelle panie di un mondo diviso tra America e Russia riuscì a costruire una coscienza di classe e una coscienza nazionale che salvarono la democrazia italiana dai numerosi e pericolosi attentati fascisti dei decenni successivi. Stasera non dirò certo cose del genere. Anzi, non dirò niente. Ma starò a sentire con molta speranza se nel dibattito comparirà anche un piccolo fantasma di quella classe dirigente che non insegue le opinioni ma le forma.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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