Ci sono ricostruzioni ambigue, a volte, del rapporto tra Stato e sardi. Ci sono ricostruzioni dove, a partire dalle nefandezze dello Stato Sabaudo del 6 ottobre 1820, i sardi sono e saranno sempre vittime, dello Stato, ovviamente. Anche nel 1985, quando viene ancora esercitato il crimine di un rapimento di persona, di un sardo ad opera di sardi, le vittime, a quanto pare, sono sempre i sardi. Ci sono ricostruzioni dove l’incipit è “Esistono vicende umane in cui i confini tra i cosiddetti “buoni” ed i “cattivi” divengono tanto labili quanto impercettibili” (http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/6489) e in modo confuso quanto superficiale, alla fine della sintetica quanto banale ricostruzione di un caso esposto a paradigma di relazione tra Comunità e Stato, non si capisce davvero chi è detentore e dispensatore di giustizia, chi ha commesso il crimine e chi ha il dovere di reprimerlo.
Ci sono ricostruzioni dove l’oppressione dello Stato nei confronti dei sardi viene dilatato – con enorme quanto scialba disinvoltura – dall’800 fino alla fine del secolo scorso. E sono ricostruzioni pericolose, perché zuppe di ambiguità. E l’ambiguità doveva essere annoverata tra i vizi capitali, per quanto è pericolosa per il genere umano…
Ci sono ricostruzioni che non hanno dietro che banali contorcimenti della storia, ad uso e consumo di un indipendentismo piatto e storto (che sia di destra o di sinistra); un indipendentismo che vuole la colpa e i vizi perennemente da una parte e il dolore e le ferite solo dall’altra.
Ci sono ricostruzioni di una fattispecie della criminalità come il rapimento di persona che la vuole figlia perenne di quelle ferite e di quell’asimmetrica relazione tra Stato e Comunità isolane. Ma anche ricostruzioni povere e ignoranti, dimentiche che fino ai primi anni ’50 il rapimento di persona in Sardegna era quantitativamente cosa rara e ridicola rispetto al “rapimento di bestie”, l’abigeato, Perché è solo a partire dal processo di modernizzazione del paese e di parte della nostra Isola, che si sviluppa in modo importante questo reato. Perché si è un po’ più ricchi del passato e perché, da lì a poco, la Costa del Nord diventerà Smeralda, calamita di attrazione per i ricchi seri (mica per i priogusu arricchiusu isolani) e dunque potenziali prede.
E’ solo a partire dagli anni ’50 che il sequestro di persona diventa “reato dominante e caratteristico della criminalità isolana, tanto da rendere fondata l’ipotesi che esso sia sostitutivo dell’abigeato, della rapina e anche dell’estorsione semplice, reati che le nuove condizioni di vita sociale e i più efficaci mezzi di controllo e prevenzione hanno reso meno produttivi e di più difficile esecuzione”. Così recitava la Commissione Medici, che si avvalse del lavoro socio-statistico di accademici, per lo più sardi (magari non indipendentisti ma almeno scientificamente onesti…).
Il numero dei sequestri a scopo di estorsione in Sardegna cresce solo a partire dall’inizio degli anni ’50, quando arrivano le prede e – come dice il proverbio – “l’occasione fa l’uomo ladro”. Alla fine degli anni ’60 ne erano stati commessi 50, 33 dei quali solo nel triennio 1966-68; un numero mai raggiunto nella storia di tutto il banditismo isolano e “mai raggiunto in nessuna nazione del mondo”.
Perché?
Per la facilità rispetto agli altri reati, perché prendere bestie non conviene: “per guadagnare il tanto di un sequestro è necessario stare tutta la vita rubando bestiame, e poi uno è nascondere una persona, uno è nascondere dieci vacche o cento pecore. Gli uomini, al contrario delle pecore, non belano”.
E gli uomini, differentemente dalle bestie, soffrono. E molto, fisicamente e mentalmente. «Mamma e papà, lo so che state lavorando molto piano ma dovete lavorare più veloce. Ho paura. Loro hanno detto che mi mozzeranno un orecchio». Un mese dopo I rapitori del piccolo Farouk, tramite il prete sardo don Luigi Monni, fanno avere alla famiglia Kassam una busta con un lembo d’orecchio dell’ostaggio. E cito solo lui, ché raccontare tutti i dolori di tutte le vittime non si finisce neanche a pasqua del 2020
Peggio di una bestia. Chi è sotto il dominio totale altrui diventa bestia deprivata e umiliata: “Mi sputavano addosso, dovevo chiedere il permesso per ogni cosa; dovevo espletare le mie necessità fisiologiche davanti al loro e non potevo parlare se non quando ero interpellato”. E questi sono ricordi di chi si può permettere di avere ricordi, ché dei 130 sequestri di persona a scopo di estorsione dal 1969 al 1997, 31 non sono mai stati trovati, né vivi, né morti.
Peggio di una bestia. Anche se le bestie non sono solo sarde e il rapimento non è cosa solo sarda: ché dei 672 rapimenti in quei trent’anni la Calabria e non la Sardegna ha il record. E dunque non è solo cosa sarda né cosa legata alle conseguenze dell’oppressione dello Stato italiano nei confronti degli isolani… Ché i sardi, quando ne hanno avuto possibilità, sono stati i più vivaci protagonisti dei rapimenti di persona in Toscana, dove anni prima erano stati accolti, da immigrati.
Insomma, nell’economia di questo disgraziato posto che è il web, dove tutto si deve ridurre in pillole, mi pare importante sottolineare che il rapimento di persona non è reato solo isolano (anzi..); non è reato che consegue all’oppressione delle comunità isolane da parte dello Stato sabaudo o Italico (anzi..), non è reato dove non si possa nettamente distinguere la vittima con il criminale (anzi…). Ché le vere vittime sono state le persone rapite, che meritano altro tipo di attenzione rispetto alle torsioni di un indipendentismo d’accatto. Bisogna distinguere sempre e nettamente le vittime dai criminali, perché l’800 e le sue storie non si trascina in modo banalmente lineare fino ai giorni nostri. E la storia, come le storie delle vittime, meritano altro rispetto…
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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