Ho ascoltato, con un certo distacco, gli uccisori delle parole. Essi non sanno di essere perdenti. Hanno solo muggiti da evidenziare quando, con sguardi indiscreti, raccolgono il peso della loro indecenza. Non c’è speranza nelle stanze di chi non accetta la controparte, di chi non vigila affinché tutti possano parlare, di chi ama le risme bianche e di chi ha paura di possedere un libro in casa. Io non posso credere che ci siano persone felici di vivere all’interno di un grande acquario, che nuotano in un universo silenzioso e che tremano davanti ad un discorso. Le parole. Che hanno un peso specifico, che diventano frasi e diventano storie. Snodi imprescindibili di emozioni. Dall’Odissea alle confessioni di Sant’Agostino, da Macondo a Itaca. Sono loro, più dell’aria e più di ogni altra cosa che mi hanno saziato l’anima, che hanno costruito ponti per incontrarci e per scontrarci. Perché ci sono parole dolce e dure, cattive e forti. Ci sono metri per raccontare le cose e ci sono parole per nasconderle. Ma non possiamo, per questo, distruggere le frasi e i periodi e le storie, i racconti e le favole e le cose belle e quelle brutte. Possiamo scegliere di non leggere, ma non possiamo decidere di cancellare quello che non ci piace. Ecco perché è facile stare dalla parte di chi conia parole con i gesti, dei perseguitati e dei censurati di tutti gli emisferi. Chi sa di non contenere un’anima nella sua triste sacca ha paura delle parole. E delle storie.
Ho deciso, da sempre, che non possiamo non raccontare. Perché scrivere non è sopravvivere, ma è poter dare voce a personaggi e fatti che hanno il diritto di esistere. Ecco perché nel mio immenso orizzonte ci sono le parole di Pasolini, Pavese, Calvino, Dostoevskij, Cronin, Sartre e tantissimi altri. Ecco perché il mio immenso orizzonte ha bellissimi colori. Perché è bello mischiare le parole, le storie e le emozioni. Io in quelle parole mi sono ritrovato. Da sempre.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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