di Fiorenzo Caterini.
Clandestini e rifugiati continuano a sbarcare sulle coste italiane.
Sbarcano sulle coste italiane con l’intenzione di raggiungere familiari, parenti, amici, gruppi di accoglienza, concittadini sparsi per l’Europa.
Ma l’Europa non li vuole. Per prima la Francia. Tenetevi i vostri immigrati.
Nostri? I migranti sono di qualcuno? Sbarcano in Italia per ragioni geografiche, ma non sono italiani, e scalpitano per raggiungere le località che si sono prefissati.
Cosa sta succedendo all’Europa, nata come luogo di solidarietà, di condivisione delle decisioni e dei problemi?
La sensazione che si ricava dalle dichiarazioni dei governanti europei di queste ore, è di una chiusura totale, di un egoismo accentuato, una mancanza di solidarietà verso un problema che dovrebbe essere certamente condiviso.
In questi anni ci siamo un po’ cullati nell’idea che la recrudescenza del razzismo fosse, come dire, un fenomeno che riguardasse l’Italia, ma che almeno nel resto d’Europa fosse un roba ormai riguardante il passato.
La realtà è diversa, purtroppo. Appena si è pensato di interessare del fenomeno degli sbarchi anche il resto dell’Europa, c’è stato il muro, il blocco, il rifiuto totale.
In realtà, il razzismo emerge semplicemente dove esiste il problema.
Gli sbarchi dei clandestini e dei rifugiati rappresentano un problema in una fase storica dove, come spiega Bauman, siamo ostaggi di una forma di benessere precario, che invece di garantire produce insicurezza, che a sua volta alimenta la paura del diverso che viene da lontano.
Naturalmente, in una dialettica sociale che privilegia le opposizioni, da una parte si sono radicati i malpancisti xenofobi e razzisti, dall’altra gli umanisti, quelli che, con una punta di disprezzo, vengono definiti buonisti.
I malpancisti sono alimentati da una propaganda politica speculativa e da una sequenza formidabile di bufale e bugie di vario genere, spesso organizzate, atte a creare un clima di ostilità nei confronti di queste persone. In Italia, occorre dire, al di là delle statistiche che vorrebbero misurare il livello del razzismo, esso è stato sdoganato certamente dalla Lega. Quando un partito che è stato a lungo nell’area governativa ha come unico punto programmatico l’odio insensato contro gli immigrati e le minoranze etniche, è chiaro che produce un effetto di rottura della censura culturale e sociale del razzismo. Se possono fare dichiarazioni razziste chi sta al governo, in parlamento e, a maggior ragione, chi va continuamente in televisione, perché non possono farlo le persone del popolo?
I buonisti, invece, si limitano a far emergere il senso di pietas dell’animo umano, a tendere ad una visione caritatevole e altruista, a ragionare in termini di valori universali, di dovere di accoglienza e di ospitalità.
Il limite di queste argomentazioni alla “Gianni Morandi” si rinvengono nell’assenza di una analisi della radice del fenomeno, che ci coinvolge tutti in prima persona, con il nostro stile di vita.
Lì si fa un passo indietro. Ammettere che la nostra ricchezza, il nostro benessere, è strettamente correlato, nel sistema mondo, allo sfruttamento delle risorse ambientali e umane di quelle regioni allo stremo, sfruttamento portato avanti con l’inganno e anche, nonostante le epoche delle violenze coloniali siano lontane, con le guerre, non è facile neppure per i “buonisti”.
Ammettere che prima di tutto siamo noi che continuiamo ad andare da loro, invece che essere loro che vengono da noi, è un problema. Che mettere in discussione il nostro tenore di vita non è facile.
L’idea che un mondo migliore si possa costruire solo mettendo in discussione il modello dei consumi, coinvolge solo una minoranza del fronte antirazzista che preferisce, appunto, fermarsi ad un livello, come dire, “sentimentale”.
Tutto lo scontro, tra razzisti e antirazzisti, sulla questione degli sbarchi, si sviluppa ad un livello emotivo e poco logico e razionale.
Naturalmente, trovandoci di fronte ad una catastrofe umanitaria, non è che si possa affrontare la crisi con soluzioni di tipo culturale a lungo termine. La discussione sul modello dei consumi va affrontata per garantire un futuro di pace e valori umani profondi ai nostri figli, ma ora c’è da affrontare l’emergenza.
Mare Nostrum, interrotta per mancanza di fondi, rappresenta una esperienza assolutamente positiva. Nata nel 2013, a seguito dell’ondata emotiva per il disastro di Lampedusa dove morirono oltre 300 persone, in un anno ha salvato decine di migliaia di persone e fatto arrestare centinaia di scafisti.
Una operazione che era di soccorso e di polizia insieme che, però, aveva un piccolo difetto. Costava troppo per una sola nazione, circa 110 milioni all’anno. Mare Nostrum, in epoca di imperante razzismo, per una nazione in crisi e in difficoltà economica come l’Italia, costava troppo. E tuttavia, occorre dire, è stata un buona operazione e, pur con i suoi limiti, ha funzionato.
Il governo italiano chiese un aiuto finanziario all’Europa, mai concesso. L’unica nazione che ha dato un piccolo contributo è stata la Slovenia.
Mare Nostrum, a partire dal novembre del 2014, è stata sostituita dall’operazione europea Triton di Frontex, dal costo di circa 30 milioni di euro l’anno, un terzo di Mare Nostrum, e che ha visto l’adesione di 15 paesi su 28, senza contare gli altri paesi del trattato di Schengen. L’operazione si è rivelata, ovviamente, un disastro, un fallimento totale, com’è sotto gli occhi di tutti visti i drammi di questi giorni.
Pensate, che se dovessero partecipare tutti i paesi del trattato di Schengen, in pratica un Europa allargata, basterebbero meno di un milione di euro all’anno per sostenere questa operazione, e pochi milioni di euro per ciascuno, fatte le debite proporzioni tra grandi e piccole nazioni, per sostenere una operazione del tipo Mare Nostrum che si è rivelata efficace.
Pochi milioni di euro, una puntino nel bilancio, per salvare vite umane e contribuire alla pace civile delle nazioni.
In pratica, bastava prendere Mare Nostrum, potenziarlo con mezzi e fondi europei, e a quest’ora non stavamo piangendo le centinaia di cadaveri che abbiamo visto galleggiare nel mare.
Perché non è stato fatto? Era così semplice.
Non solo non è stata potenziata l’operazione di polizia e di soccorso, ma ora i capi di governo europeo parlano addirittura di chiusura delle frontiere, contravvenendo, nei fatti, agli accordi di Schengen.
Le motivazioni di questa mancata coesione sul versante europeo, e di questo mancato impegno, sono molteplici, ma credo risiedano, principalmente, nell’impopolarità che qualunque governo avrebbe a favorire l’accoglienza degli immigrati e, viceversa, sui vantaggi elettorali nella trattazione in negativo del fenomeno, come la Lega insegna. Ma non solo: ormai si è ingenerata ad arte la falsa idea della concorrenza, ovvero che per gli immigrati si spendano chissà quali soldi, e quindi che non è il caso di spenderne altri, neppure trattandosi di salvare vite umane.
Non sarebbe costato molto per l’Europa intera spendere la cifra che spendeva l’Italia da sola.
Una cifra ridicola per la più grande potenza economica della terra.
Che dire. Siamo dentro un circuito vizioso. Politica e società si alimentano a vicenda creando un corto circuito democratico, con alla base una mancanza di conoscenza, di sapere, di cultura di fondo. E tanta, molta paura, spesso indotta, e quasi sempre ingiustificata.
Per la prima volta dai campi di concentramento nazisti in poi, il vecchio continente ripudia la matrice stessa del suo essere, ripudia la fraternità delle rivoluzione francese come l’anti-razzismo della resistenza antifascista. Per la prima volta nella sua storia l’Europa si sveglia veramente vecchia e inutile, senza un vero ruolo nel mondo che non sia quello di mandare in giro le sue multinazionali a sfruttare popoli e a inquinare mondi, senza più quello scambio di umanità, quell’influsso di conoscenze e di valori che comunque rendeva una possibilità, donava una speranza, anche se pelosa e sgualcita, al resto del mondo.
Ora no. Ora le barriere, per quattro stupidi euro e il liscio del pelo ad una canaglia ignorante e razzista, si ergono non solo fuori, ma anche dentro l’Europa.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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