La bicicletta era la formula uno dei giovani di allora. Avevo imparato ad andarci con quella di un mio compagno di scuola soprannominato Gigi Salame per via della voracità con cui divorava panini imbotti con l’affettato. Aveva un graziella blu e qualche volta mi concedeva di fare un giro. Mi rimane ancora impressa la vittoria di Eddy Merckx al giro di Sardegna. Lui, quell’anno, vinse anche la tappa della nostra città, Alghero: quattordici giri tra la periferia e la passeggiata sul mare. C’eravamo andati con zio Vittorio, fratello di mia madre, tifosissimo del fuoriclasse, in quanto emigrato in Belgio. Ogni volta che passava vicino alla Torre sul mare – dove noi eravamo ben sistemati – lo incitava: Alè, alè, a gagner, a gagner e pure io, per interposta persona, abbandonai Gimondi e tifai per Merckx ma solo per quella corsa e solo in onore dello zio divenuto quasi belga. I ciclisti erano una favola silenziosa. Correvano compatti e colorati e dalle auto al loro seguito venivano gettati i cappellini. Riuscimmo ad acciuffarne uno e, se non ricordo male era della Salvarani. Ci facemmo subito una fotografia io e lo zio. Lui con il sigaro in bocca che continuava ad incitare: “a gagner, a gagner.” Ho amato molto Gimondi. Quel suo essere silenzioso, quasi come il vento che cammina vicino alla tua bicicletta, quel silenzio colorato che ti accompagna nelle salite, quando pensi di mollare tutto, di non farcela, di abbandonare. Da quelle parti usciva Gimondi, con quella pedalata forte, risoluta, incisiva. Usciva e non si guardava indietro. Tanto lo sapeva che dietro c’era “quello là”, il nemico sulla tua strada, il cannibale. Non si guardava indietro perché era da un’altra parte la soluzione: poter essere almeno una ruota davanti a tutti. Per vincere e convincere. Così come faceva Marco pentadattilo. Pantani, il sogno della mia vita adulta distrutto in troppi frammenti. Il 23 ottobre del 2001 Marco Pantani veniva assolto dall’accusa di frode sportiva per l’alto ematocrito alla Milano Torino del 1995. Fu un piccolo giorno di felicità ma non durò molto. Solo tre anni.
Però gli eroi son sempre giovani e belli. Pantani compreso.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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