Oggi, 20 maggio 2020, lo Stato americano del Missouri ha condannato a morte un cittadino di 64 anni, Walter Barton, accusato di avere ucciso nel 1991 una donna ottantunenne. Ventinove anni dopo quell’omicidio, lo Stato boia ha eliminato l’accusato. Molti hanno osservato come l’emergenza coronavirus, per via delle regole marziali che ha imposto, lasci pericolosi spiragli a derive autoritarie: si estendono i poteri di controllo dello Stato, si restringono le libertà personali. Non so se questo sia vero. Credo sia certamente vero se si valuta l’aspetto informazione, una delle libertà che al cittadino vanno riconosciute. L’emergenza coronavirus ha tolto di mezzo dalle prime pagine ogni notizia che non fosse in qualche maniera collegata alla pandemia. Quando ho saputo della condanna a morte di Barton, sono andato a cercare altre informazioni sul caso smanettando su Google. Sui siti web dei principali quotidiani italiani non ho trovato neppure una riga, se non il telegrafico lancio di un’agenzia di stampa che scambiava l’uomo condannato a morte per una donna. Una volta si aprivano dibattiti roventi sul diritto di uno Stato di mandare a morte un cittadino, replicando il crimine imputato a quello stesso cittadino. Oggi silenzio assoluto. In questo senso, il virus ci ha abbruttiti tutti e ha imposto una dittatura della notizia. O forse il virus non c’entra nulla e dello Stato boia non frega più nulla a nessuno.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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