Ieri Giuliano Ferrara ha scritto un editoriale su L’Unione Sarda. S’intitolava “L’Occidente votato al suicidio”, sottolineato dal fosco presagio “Perderemo la guerra tra i mondi”. Ferrara parte dell’assunto di due civiltà contrapposte, incompatibili: perché una sopravviva, l’altra deve morire. Ad un certo punto del suo ragionamento Ferrara sostiene che l’occidente debba scegliere se proseguire nel dialogo con l’Islam – scelta errata, secondo il commentatore – o evocare “la forza della sua tecnologia”, applicando “alla violenza dei guerrafondai che decimano la redazione di un giornale per intimidire tutti i giornali e tutte le opinioni una violenza incomparabilmente superiore”. Cosa vuol dire? Io l’ho interpretato come un appello interventista, come una dichiarazione bellica, come una richiesta ai Paesi colpiti dal terrorismo affinché vadano a combattere il terrorismo nelle terre in cui i fanatismi vengono coltivati. Insomma, a me è sembrato che Ferrara auspichi una nuova guerra. Però ho provato a credere che così non fosse, che con quella “superiorità tecnologica dell’Occidente” rivendicata nel suo commento il direttore del Foglio non alludesse a Jet supersonici lanciati nei cieli d’Oriente ma al sacrosanto rafforzamento delle misure di sicurezza e alla rigorosa repressione dei terroristi in casa nostra, con ogni mezzo possibile. Ferrara non è un Salvini qualunque. È un uomo molto intelligente, ha una formazione culturale di respiro internazionale, non gli manca mai la citazione colta per far volgere a suo vantaggio i contraddittori nei quali è spesso coinvolto. Se provate a sfidarlo, incrociando le parole con lui come fossero spade, è possibile che ne usciate perdenti.
Ho pensato: un uomo così abbondantemente nutrito (non c’è ironia in questa definizione) di conoscenza non può chiedere nuovi bombardamenti in quelli che una volta venivano considerati Stati canaglia, nella speranza che il terrorismo venga debellato. Ho pensato: un uomo così intelligente deve per forza avere capito che aggiungere violenza alla violenza altro non serve se non ad ingigantire la violenza, a rafforzare l’odio, a riproporre le condizioni che alimentano il terrorismo e lo mostrano al mondo come una minaccia crescente.
Deve per forza avere capito che mettere a ferro a fuoco luoghi che l’Occidente considera ostili non serve a debellare il terrorismo e neppure ad esportare democrazia. Non può sfuggirgli che democrazia e ragionevolezza non si possono imporre sganciando bombe a casaccio.
Ho provato ad illudermi di avere sbagliato interpretazione, a convincermi che Ferrara intendesse dire altro. Poi sono andato a ritroso, nel pezzo. E ho letto Ferrara accusare l’occidente della svendita “dei sacrifici e della grande forza d’urto, costosa e controversa come sempre è ogni guerra, che erano risultate dalla grande risposta internazionale, la coalizione dei volenterosi, all’11 settembre del 2001”. No, purtroppo non mi sbagliavo. Ferrara rimpiange quella guerra alla ricerca di una pistola fumante mai esistita, la considera l’unica risposta efficace. Difende una strage che non ha rimosso le cause della rabbia e, anzi, le ha mostruosamente accentuate. Mi riesce difficile crederci, ma è così.
Chiede uno scontro armato un opinionista tra i più influenti, un ex ministro, il direttore di un giornale (Il Foglio) finanziato dal più potente politico dell’ultimo ventennio (e che ha tra i soci la stessa società editrice de L’Unione Sarda), un uomo d’intelletto. Per salvare il mondo occorre che due civiltà si sfidino a duello, cosicché la più militarmente dotata possa imporsi ed il bene supremo prevalere. Questa è la sua visione.
“Non tutti i sardi erano sequestratori”, ha scritto ieri su Facebook il sindaco di Neoneli Salvatore Cau. E nessuno ha mai pensato – neppure quando in Sardegna si tenevano in ostaggio contemporaneamente 19 persone – che occorresse bombardare il Supramonte per risolvere il problema. Lo si è risolto, il problema, con interventi mirati.
L’Italia ha vissuto la lunga stagione del terrorismo rosso e neofascista, con centinaia di morti e delitti quotidiani. Ma nessuno ha pensato che bombardando le sezioni del Partito comunista o del Movimento sociale si potesse disinnescare quella fonte di violenza. Quella nefasta parentesi si è chiusa dopo averla combattuta con altri mezzi e non con le armi di distruzione di massa.
Con il terrorismo esportato in Europa bisognerà essere implacabili e sulla sicurezza bisognerà concentrare ogni energia possibile, così come bisognerà insistere sugli strumenti culturali di integrazione. Ma cosa c’entra un’altra guerra? A cosa servirebbe un’altra guerra?
Non è rispondendo con “una violenza incomparabilmente superiore” che se ne estirpa un’altra. Non è promuovendo lo scontro armato tra le civiltà che si salva il mondo. Così si fa il gioco del terroristi, così il mondo lo si demolisce. Attenti ai cattivi maestri, cari ragazzi.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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