“Ebbene, qui occorre spiegarsi: se i preti si sentono offesi per via di don Camillo, padronissimi di rompermi un candelotto in testa; se i comunisti si sentono offesi per via di Peppone, padronissimi di rompermi una stanga sulla schiena. Ma se qualcun altro si sente offeso per via dei discorsi del Cristo, niente da fare; perché chi parla nelle mie storie, non è il Cristo, ma il mio Cristo: cioè la voce della mia coscienza. Roba mia personale, affari interni miei. Quindi: ognuno per sé e Dio per tutti”. E’ Giovannino Guareschi. Proprio Giovannino, non Giovanni. Quando ebbe guai giudiziari e in tribunale gli imposero di dire nome e cognome, il giudice lo ammonì a “non fare lo spiritoso”. Ma lui mostrò i documenti e Giovannino era il nome con cui era stato battezzato e iscritto all’anagrafe. Quelle di sopra, comunque, sono le ultime righe della sua prefazione a Mondo Piccolo, del 1948, la prima raccolta delle storie su Don Camillo e Peppone che aveva pubblicato sul Candido. Oggi la Macchina del Tempo è guasta, fa l’anarchica, mi porta a un giorno di terza liceo pieno di primavera e di starnuti, come è questo di oggi, e mi ricorda due amori per altrettanti uomini. Uno è Giovannino Guareschi, amore inconfessato, ché se allora l’avessero saputo i miei compagni chissà quante me ne avrebbero detto. E qualche sopravvivente di quell’epoca qualcuna me ne dirà anche oggi. Ma chi se ne fotte. E ho fatto male a non fottermene anche allora. Guareschi era grande. E se era anticomunista, pazienza. Sta di fatto che in campo di concentramento lo hanno messo i nazisti perché si era rifiutato di tradire. E, nell’Italia democratica, in galera lo hanno messo i democristiani. I comunisti non gli hanno mai fatto niente. Secondo me Togliatti era talmente intelligente che, nonostante quello che si dicevano e nonostante Guareschi abbia contribuito in una certa misura a fargli perdere il Quarantotto, in fondo in fondo lo ammirava. L’altro amore è quello per Francesco Tanda, artista e, in quella terza liceo, il mio professore di Storia dell’arte. Anche lui era grande. Non era reazionario come Guareschi. Anzi. E quindi lo potevo ammirare pubblicamente. Era politically correct. Era talmente professore, nel senso dell’impulso irrefrenabile a insegnare, che pur di farmi studiare qualcosa, asino come ero, accettò di scoprire insieme a me la rilettura che del fumetto americano in quegli anni faceva il giovane Linus. E se ne appassionò tanto che alla fine ci scambiavamo la rivista e i commenti. Solo che i miei, di commenti, li voleva scritti. E me li correggeva, cancellava con tratti di penna ciò che era banale e mi obbligava ad approfondire ciò che non gli sembrava banale. E così con lui raggiunsi una tale confidenza che, quando cominciò a parlarmi di estetica marxista e mi indusse a leggere Gyorgy Lukacs, gli dissi -Sa, professore, c’è una questione di fondo che non riesco a capire. -Spara. -Ma prima le devo fare una confessione. E’ cosa grave. -Spara. -Mi piace… anzi… proprio lo ammiro… -Spara. -Giovannino Guareschi. Sussultò e si guardò intorno d’istinto, come per vedere se vi fossero testimoni. Pensai fosse troppo anche per lui: “L’ho fatta bella. Perché non me ne sto zitto?”. Ma lui continuò -E cosa ti piace di preciso? La saga del Mondo Piccolo? Mi insospettii. Il fatto che chiamasse quei libri con il loro nome e non con un generico “Don Camillo”, dimostrava che li conosceva bene. Ma pensai che essendo una persona di straordinaria cultura impegnasse il suo tempo anche in cose del genere. Un po’ come gli inquisitori per combattere le dottrine eretiche leggevano i libri all’Indice. Certo però che su Guareschi ne sapeva umbè. Mi chiese se conoscevo anche la saga familiare, oltre a quella del Mondo Piccolo. Chinando vergognoso il capo, gli risposi di sì. -E di questi ultimi quali preferisci? – “La scoperta di Milano” e “Lo Zibaldino”. Assentì gravemente. -E i romanzi umoristici li hai letti? -Sono solo due. Non mi sembrano il suo meglio. Ma sono gradevoli. Anche stavolta assentì gravemente. -Ma lei, professore, l’ha letto? -Qualcosa. Stette un po’ a inseguire chissà quali suoi pensieri con un vago sorriso. Poi si riscosse. -Allora, cosa c’entra questo reazionario di Guareschi con la questione di estetica che non riesci proprio a capire? Ed ecco cosa gli dissi. Guareschi racconta che quando lui lavorava al Bertoldo del vecchio Angelo Rizzoli, la redazione era nella stessa palazzina dove l’editore aveva il suo ufficio. Quella sera finì molto tardi e andando via pensava che le stanze fossero già vuote; ma invece, passando davanti a quella del grande editore, vide un filo di luce dalla porta socchiusa e udì un gran sospiro. Si affacciò alla soglia pensando che Rizzoli si sentisse male e lo vide che, seduto alla sua scrivania, teneva gli occhi fissi su una copia della Domenica del Corriere. -Ah, è lei, Guareschi. Entri. Forse riuscirà a rispondere a una domanda che mi angoscia. Io guardo questa tavola di Achille Beltrame sulla copertina della Domenica del Corriere e dico: “Stupenda!”. Poi guardo appeso a quella parete un quadro del pittore italiano più quotato e dico:“Stupendo!”. Guareschi non capì sino a quando Rizzoli concluse con un sospiro simile a un singhiozzo -Ma allora, perché questo giornale l’ho pagato venti centesimi e quel quadro un milione? Dissi questo al professor Tanda e gli chiesi. -Perché? Sospirò come aveva sospirato il vecchio Rizzoli e mormorò -Sì, quel racconto di Guareschi l’ho letto anch’io. E se ne andò. Forse fu l’unica volta che non mi diede una risposta. Così pensavo allora. Ma ora ho capito che me l’aveva data. Eccome. E quindi su altre cose mi potete bastonare, ma su questa niente da fare. Ve lo dico con le parole di Giovannino: “Roba mia personale, affari interni miei. Quindi: ognuno per sé e Dio per tutti”.
In alto, un disegno di Giovannino Guareschi tratto dalla prima edizione Rizzoli di “Mondo Piccolo”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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