Bisogna che i giornalisti si mettano in testa che, in questo momento storico più che in altri, la loro onestà professionale è uno degli argini ai fanatismi e alle derive fasciste alimentate da chi usa odio e pregiudizio come propellenti del proprio consenso. E per onestà professionale intendo, in particolare, il rigore nel verificare le notizie e il saper resistere alla tentazione di inseguire un titolone ad effetto, solo perché fa audience o copie vendute. Nei giorni scorsi, anche i telegiornali più titolati hanno strillato la notizia della Cassazione che, secondo la malintesa interpretazione di una sentenza, avrebbe concesso delle attenuanti a due stupratori perché la loro vittima era ubriaca. Bufala totale, smascherata da chi ha verificato cosa effettivamente fosse accaduto e ha ricostruito con precisione i passaggi della sentenza. Però nel frattempo era partita la solita campagna d’indignazione contro la magistratura, attraverso il tam tam dei social e le condivisioni: una slavina ogni metro più voluminosa, nata dal nulla di una non notizia.
Oggi è stata la volta della presunta schedatura, da parte della Organizzazione mondiale della sanità, dei prodotti alimentari italiani, che secondo alcune fonti autorevoli della nostra stampa sarebbero stati ritenuti nocivi come le sigarette e dunque da sanzionare. Gigantesca cazzata anche questa, ma siccome tutti l’hanno rilanciata senza verificare è partito il dagli all’Europa e agli enti sovranazionali che s’impicciano delle nostre cose. Primo tra tutti Matteo Salvini, che ha ovviamente commentato chiamando alle armi i suoi supporter contro il nemico comune: il suo terreno di propaganda preferito. Anche in questo caso, è bastata una verifica un minimo più attenta per capire che si trattava di fuffa.
Come è possibile che questo accada, cioè che si rilancino bufale senza verificarle? Per la frenesia di non restare indietro ai concorrenti, anche quando i concorrenti barano. Se permettete, attingo alla mia memoria personale di cronista. Una domenica d’estate di quindici anni, un violento incendio stava seminando il panico nel litorale tra Palau e Cannigione. Ero sul posto, quando venni raggiunto dalla telefonata del direttore del giornale. Mi riferì che le agenzie di stampa stavano battendo la notizia secondo cui il celebre cantante Peter Gabriel era stato costretto a scappare dalla sua villa sul mare perché assediata dal fronte di fiamme. Risposi con una risata, perché l’incendio era distante parecchi chilometri dalla villa dell’artista. Ma il direttore non volle sentire ragioni: siccome le agenzie la stavano battendo, bisognava che lo scrivesse anche il nostro giornale. In caso contrario, tutti i giornali nazionali avrebbero dato una notizia che noi, invece, avremmo omesso. Era una non notizia, ma una non notizia ripetuta da tutti diventa una notizia. Il pezzo venne pubblicato, ma senza la mia firma.
Ovviamente c’è chi dice no. Quando, un lunedì di una decina d’anni fa, L’Unione Sarda lanciò la notizia del pensionato cagliaritano sorpreso a rubare il formaggio per fame, in un market di Is Mirrionis, ci volle poco più di una giornata ad Enrico Fresu, cronista di Epolis, per scoprire che la notizia era inventata dalla prima all’ultima riga, che il pensionato non esisteva e che la foto del market ritraeva non un negozio di Is Mirrionis, ma dell’Alto Adige. Siccome però il carosello era partito, i quotidiani nazionali pubblicarono interviste inventate al pensionato Ignazio Fenudi, che non poteva essere intervistato proprio perché non esisteva. Non è tanto importante verificare la notizia, l’importante è darla. Anche quando si tratta di invenzione. Il corrispondente dalla Sardegna del Corriere della Sera, Alberto Pinna, non scrisse invece manco una riga. Fatte le sue verifiche, non arrivò ad avere alcuna conferma e decise di sganciarsi dalla lotta a chi la sparava più grossa.
Spero di essere riuscito a rendere l’idea del meccanismo che genera cattiva informazione. Solo che oggi viviamo tempi di pericolosi rigurgiti fascisti, in cui l’informazione viene strumentalizzata in modo esasperato da chi non ha altra arma, se non l’odio. I giornalisti italiani devono capire di essere diretti responsabili della salute della democrazia italiana. Ci pensino, prima di scrivere.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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