Mai come sotto elezioni corre l’obbligo di essere solidali con i giornalisti che lavorano nelle redazioni. Ricordo con raccapriccio quell’esperienza. Ciascuno dei candidati, dei segretari di partito o dei sostenitori si convince di essere investito della salvezza del mondo ed è perciò sicuro di aver diritto a vedere pubblicate integralmente le proprie riflessioni su ogni argomento di interesse pubblico, dalla fame nel mondo al funzionamento della differenziata al Borgo delle rose. Spesso sono partiti dall’aspettativa di vita di una mosca, senza alcuna chance, assemblati mettendo assieme figure di secondo piano attorno all’ego smisurato e all’ambizione di chi li promuove. Ma questo non limita il loro senso di onnipotenza. Si viene pertanto tempestati di comunicati, perlopiù privi di una minima utilità, che il giorno dopo susciteranno in ogni caso recriminazioni: se la nota apparirà in forma ridotta ne contesteranno l’alterazione del senso, se non apparirà affatto grideranno alla censura. Nascono così le campagne elettorali del vittimismo – quanto ci piace il vittimismo, in tutte le sue forme – accompagnato dagli slogan “diamo fastidio ai potenti e i giornali ci censurano”, ovvero, “la nostra carica di innovazione terrorizza la vecchia classe dirigente”. Fidatevi, non sempre vi censurano o date fastidio: è che spesso non avete nulla da dire e vi interessa solo occupare uno spazio, è che di candidati e partiti come il vostro ce ne sono centinaia e decine e lo spazio di tiggì e giornali quello è, è che il mondo non vive solo di politica e, magari, esistono uomini e donne che hanno cose da dire più interessanti della vostra propaganda. Chi lavora nelle redazioni, fin dalla campagna elettorale avrà un’idea chiara del grado di arroganza, di maleducazione e presunzione dei contendenti. Maggiore sarà la loro protervia nel chiedere la parola, maggiore sarà l’insistenza nell’insozzare le loro mail di commenti su tutto, più saranno politici prepotenti e appiccicati al potere, nel caso di elezione. A quel punto diventeranno una rottura di coglioni per tutti, non solo per le redazioni.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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