Bisogna esserci stati in quei giorni lividi e duri. Bisogna averla vissuta davvero quella guerriglia vera, cattiva, contro tutto e contro tutti. Bisognava avere meno di vent’anni per esserci davvero dentro in quello che tutti chiamavano “il movimento”. 11 marzo 1977. Francesco Lo Russo viene ucciso in uno scontro con i poliziotti a Bologna. La storia, raccontata oggi, non sembra neanche vera. Ci fu uno scontro ideologico tra quelli di Comunione e Liberazione e quelli del Movimento del 77 gente che in questi giorni si è incontrata al Lingotto e oggi siede nella stessa ala del Parlamento. Lo scontro fu molto duro tra il servizio d’ordine dei ciellini che non voleva far entrare i militanti della sinistra extraparlamentare alla riunione. La ritenevano una provocazione. Ma erano altri tempi e le provocazioni erano all’ordine del giorno come gli scontri, la difesa del territorio da parte di tutti: destra, sinistra e centro. Arrivò la polizia e risolse tutto con i lacrimogeni. Modi spicci, modi veloci di uomini che comunque rappresentavano anch’essi una parte del proletariato. I compagni, rientrando arrabbiati, si imbatterono con un camion dei militari che rientrava in caserma. La rabbia era tanta, come la frustrazione e partirono dalle frange più militanti – l’ala dura e pura – due bombe molotv che provocarono un principio d’incendio nel telone dell’automezzo. Un militare scese e con la sua Beretta cominciò a sparare. In via Mascarella c’era anche Francesco Lo Russo che colpito da quei colpi cadde e morì. Seguirono giorni terribili dove tutti provarono a raccontare quello che era accaduto, l’uso delle armi, sparare ad altezza d’uomo. I giornali di Marzo, in quei giorni si schierarono e provarono, interrogando testimoni, a ricostruire la verità che non era quella che il movimento voleva ma solo una verità addolcita e chiaramente dalla parte del militare. Claudio Lolli, cantautore bolognese molto vicino al movimento e a Lotta Continua, sempre lo stesso anno pubblicò un disco davvero cupo e militante, probabilmente l’album musicale più duro che sia mai stato scritto. La canzone “i giornali di marzo” l’ho riascoltata proprio in questi giorni e sorprende che, in realtà – come disse lo stesso Lolli – era costruita con le parole apparse su due quotidiani in quei giorni, non proprio teneri con il movimento: Il Messaggero e La Repubblica. Ci sono passaggi davvero figli di quei tempi dove “senza sapere che direzione prendere, senza sapere dove andare, ci si inginocchiava per prendere la mira e sparare”. I giornali di marzo, di quel maledetto marzo dove il sole pareva non esistere, dove la primavera era polvere raccolta nel futuro di una generazione, chiarivano e spiegavano: “ Alle 13.15 sono partiti alcuni colpi. In un succedersi incalzante di fughe assalti e contrassalti, solo le poche centinaia di persone che non erano scappate, da alcuni uffici sono stati portati all’aperto tavoli. I ragazzi del movimento erano paragonati ai “tupamaros” e dovevano convincersi che non avrebbero mai vinto. Perché i giornali di marzo, di quel marzo avevano capito tutto E la polizia con prudenza delle forze dello Stato, hanno replicato con lanci a ripetizione di candelotti lacrimogeni, è stato centrato alla schiena cadendo immediatamente. Questo hanno raccontato esprimendo verità i giornali di quel marzo piccolo e cattivo dove “il vento fa il solletico ai sogni rimasti impigliati nel cancello dei denti.” Ho riascoltato con estrema attenzione questa canzone praticamente sconosciuta a molte persone. Un po’ come la storia di Francesco Lo Russo morto in quei giorni di marzo del 1977. Eravamo giovani, eravamo tanti ma ci siamo portati dentro una grande contraddizione: non siamo riusciti a farlo capire ai morti il nostro sogno, la nostra voglia di cambiare questo paese. Poi ci sono state strade che si sono unite e molti muri sono crollati. Poteva essere una bella storia. Ma non lo è stata. I giornali di marzo non sono riusciti a raccontarla
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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