La versione ufficiale riferisce di un proiettile vagante quale causa della sua morte. Non vagava affatto quella pallottola quando, intorno alle ore 20.00 del 12 maggio ’77, è andata a conficcarsi, dopo un percorso lineare, sulla schiena di Giorgiana Masi.
Erano gli anni di piombo, delle manifestazioni di piazza, di scontri con la polizia, di grandi cambiamenti sociali e di costume, di ribellione generalizzata e bombe molotov.
Tanto che Cossiga, allora Ministro dell’Interno, dopo l’uccisione dell’agente Passamonti, annunciò di aver dato disposizioni in Parlamento affinché fossero vietate tutte le manifestazioni a Roma.
Giorgiana quel 12 maggio correva a perdifiato sul lungotevere. Cercava riparo dagli scontri che si erano inaspriti nel corso della giornata. Il partito Radicale aveva organizzato un sit-in in Piazza Navona, era il terzo anniversario del referendum sul divorzio ed altri diritti bussavano alla porta per reclamare il loro spazio nella società.
Giorgiana è lì, a manifestare per quei diritti.
Il clima è caldo, la polizia picchia duro. Sono interminabili minuti di tensione che sfociano in guerriglie sparse a macchia di leopardo nel centro di una Roma spropositatamente militarizzata.
La polizia incalza, partono cariche a ripetizione. I manifestanti cercano di mettersi in salvo, scappano verso Trastevere.
Non ha ancora 19 anni quella ragazza che corre per sfuggire alle cariche della polizia. Ai lacrimogeni. Ai colpi sparati ad altezza d’uomo.
Cossiga, sdegnato, deve far rispettare il suo divieto e schiera circa 5000 agenti in assetto antisommossa, ma in seguito molti testimoni segnaleranno la presenza di un numero impressionante di agenti in borghese travestiti da facinorosi.
E lei corre, insieme agli altri manifestanti. Galoppa con l’ardore dei suoi 19 anni. Vola finché si accascia al suolo. Sembra aver inciampato in qualcosa, gli amici la soccorrono e la portano al riparo. Quando si fermano per capire cosa sia successo Giorgiana ha già gli occhi sbarrati che ormai guardano il nulla. Giungerà cadavere all’ospedale, dove non potranno far altro che constatare il decesso.
Il responsabile di quella morte non salterà mai fuori anche se Cossiga, per sua stessa ammissione, anni dopo, affermerà di esserne a conoscenza ma di aver taciuto il nome per “non aggiungere dolore al dolore”.
Giorgiana sembra essere morta inutilmente, poiché il rimedio di Cossiga, a base di infiltrati e provocatori in mezzo alla protesta, diventerà un evergreen.
Ma quando una giovane manifestante viene innalzata a immagine della violenza di Stato, vuol dire che non è morta invano. Anzi, dimostra che non è mai morta. Significa che non se n’è andata. Lei è altrove…
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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