Un amico mi ha scritto di essere stato a Barumini, pochi giorni fa, e di aver sentito la guida del Nuraxi Mannu pronunciare le seguenti parole: “Il nuraghe molto probabilmente è nato come tempio per venerare l’acqua.”
Lilliu sconfitto in casa!
Cosa è successo?
È successo che i media italiani—quelli internazionali non contano—hanno scoperto i Giganti.
La Sardegna non è mai stata quel luogo maledetto, condannato dalla sua geografia all’immobilità e alla pochezza.
E questo ha sdoganato l’eresia antilliuiana.
Tutta.
Perché se lo dicono La Repubblica o il Corriere, beh, allora sì che è vero!
Come ho già scritto, ne vedremo delle belle.
Appena gli eredi de Su Babbu Mannu avranno trovato il mondo più adatto per contorcersi, scopriremo che i primi a non credere alla Sardegna immobile nei millenni, incapace di cambiare se non scimmiottando gli invasori, sono stati proprio loro, quelli che hanno fatto carriera all’ombra del Piccolo Grande Uomo.
Loro, i custodi dell’ortodossia lilliuiana, anche quando Lilliu stesso se ne discostava, dando credibilità, per esempio, alla credibilissima teoria di Sergio Frau sulla mobilità delle Colonne d’Ercole.
–È un sardista romantico!—Borbottavano in privato.
Secondo me è vero il contrario: a 90 anni Lilliu ha capito che non aveva più niente da perdere e di poter dire quello che pensava.
Loro, i gregari, i “chierichetti” di Frau, loro non potevano permetterselo.
Troppi erano già i compromessi fatti e la carriera, la santa carriera, la reputazione, è sempre in pericolo.
In questi giorni i media italiani—ingustati dai Giganti—hanno scoperto il vino nuragico.
Altra notizia vecchia: se non ricordo male il cannonau nuragico era già stato datato qualcosa come sei anni fa. (https://www.sardegnablogger.it/il-vino-sardo-proviene-dallo-spazio/: solo dopo ho letto l’articolo di Caterini).
Ma sei anni fa i Giganti non erano ancora stati scoperti dagli italiani.
Ecco perché i Giganti sono stati nascosti per 30 anni nei magazzini di Cagliari.
Tutto molto semplice.
Così i sardi adesso possono sapere che i loro antenati non hanno imparato dai fenici a fare il vino.
Solo dopo il nulla osta dei media italiani si può parlare impunemente di una Sardegna in cui le cose cambiavano e si evolvevano anche senza il contributo degli invasori.
Ricordiamo come ci ha descritto Lilliu la Sardegna, neanche tanto tempo fa, perché i Giganti e la datazione dei vinaccioli della vernaccia demoliscono questa visione: “Effetto di quella sorte fu la condanna della ventosa terra arcaica, posta fra mare e cielo, a una pittoresca immobilità”
“La Sardegna non ha mai avuto una storia politica nazionale; e, cioè, non è stata mai una “nazione”. Frammento d’un vecchio esteso continente alla deriva, isola nell’isola, chiusa, per uno stretto giro radente le sue coste frastagliate, dal mare e per un largo cerchio dalle più vaste e potenti terre delle Penisole iberica e italiana e dall’Africa continentale, l’antica zolla, che i Greci assomigliarono a un piede umano, ebbe segnato in parte dalla natura stessa il suo destino che la sua gente – ed altre genti su di essa sopravvenute d’ogni parte –perfezionarono con spietata coerenza. Effetto di quella sorte fu la condanna della ventosa terra arcaica, posta fra mare e cielo, a una pittoresca immobilità; quasi a far da mostra, o da sedimento, ad un mondo ancestrale e chiuso, durante lo svolgersi di mondi e di umanità più recenti e in moto; a diventare l’immagine didattica della preistoria nella storia. La storia della Sardegna giunse, così, a stento, e nel suo culmine, a storia del “cantone”; ma, in generale, si fermò alla storia del “villaggio” e, dentro il villaggio, a quella del clan, e, dentro il clan, a quella del gruppo familiare. Fu, in ogni caso, storia senza aperture, frazionata e sospettosa, fuori dalla percezione esatta e dal gusto di vasti commerci materiali e spirituali; lontana, appunto, dal senso unitario, attrattivo ed espansivo, che ha la storia d’una terra e di una gente maturata a concetto e pratica di “nazione”. Emilio Lussu che, fra gli uomini politici sardi contemporanei, è certo quello più fortemente caratterizzato alla sarda ed ha insieme il sapore del mondo, ha colto e descritto, in un articolo recente, questa drammatica situazione storica della sua Isola, che dura ancor oggi. Questo dramma è, in sostanza, il complesso d’inferiorità storica che esiste da millenni, covato nel segreto e nel rancore dal popolo sardo e scontato, da quest’ultimo, su se stesso, per non poterlo far pagare agli altri. È il dramma della libertà perduta da una gente forte e culturalmente fattiva, proprio nel momento in cui si apprestava a passare dallo stadio del villaggio a quello di città e a costruire sulle proprie esperienze, saggiate con quelle altrui, le fondamenta per diventare “nazione” ed evadere dalla stretta della “isola”. Sforzo solidale spezzato dallo straniero, più forte e organizzato, al culmine e nella tensione più ardita alla speranza e alla brama. Questa battaglia perduta da un popolo in movimento, schiantò la gente sarda; e si originò il dramma della Sardegna, che è quello d’una pittoresca, ma sconfortante, fissità e angustia: e cioè il dramma del villaggio che non si è fatto città, a causa dello straniero. Timidità ed orgoglio (che è in fondo ben celata invidia); rinunzia, dispetto e odio (che è amarezza e rancore di mancata conquista) furono le conseguenze psicologiche della sconfitta. E la gente, fermata ad agire nello spazio delle poche miglia del villaggio, entro i limiti che assunsero per livore il significato di frontiera fra Stato e Stato, fedele a una legge che non volle fosse quella codificata dallo straniero, si ridusse, contentandosi per forza, a produrre piccole e anguste cose, come piccolo e angusto era il tratto di terra assegnatole. Così dal villaggio non uscì, come non esce ancora in Sardegna, la cosa grande o l’uomo grande: non il genio politico, non il filibustiere d’alto bordo o il santo splendido, non il pensatore d’eccezione o l’artista di fuoco. Nacque invece, e nasce ancora, il folklore che si configura nei più svariati aspetti, per nulla eccezionali ancorché – taluni – suggestivi e coloriti. Il folklore si espresse, in politica, con la protesta libertaria vana e querula già notata da Cicerone ai suoi tempi e, nel Medioevo, coi Giudicati che si combatterono a lungo fra di loro. Esso riduce i conquistatori al grado dei mastrucati latrunculi dell’Arpinate, che sono la stessa cosa degli attuali banditi d’Orgosolo; limita i mistici al poverello francescano Ignazio da Laconi, uscito dalla gente dei pastori; e, se si eccettui e non in tutto la Deledda (anch’essa uscita dallo spazio comunistico e contemplativo dei pastori), esaurisce la lirica in poche improvvisazioni dei cantori in vernacolo, e consuma la rara poesia delle arti figurative nel bianconero delle xilografie, che sono meste e asciutte come il paesaggio e l’anima isolana.”
(Pensieri sulla Sardegna:165-166, in http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_26_20060401174110.pdf)
Questo documento, ripubblicato da Ilisso, nel 2002, contiene la visione della Sardegna del Babbu Mannu della cultura sarda.
Visione mai apertamente smentita dal sua ideatore e gelosamente custodita dai suoi discepoli.
Chi si discosta da questa “verità rivelata” viene prima snobbato, poi attaccato e infine coperto di fango dai killer prezzolati che scrivono, per conto delle autorità, su Untoreblog.
Ora questa Sardegna immobile si è sgretolata sotto la mole dei Giganti.
Questo si era capito già 40 anni fa.
E infatti i Giganti sono stati tenuti nascosti per 30 anni.
Crolla anche tutta la mitologia della “costante resistenziale barbaricina”, che Lilliu aveva, in un modo o nell’altro, ripreso da Wagner.
«Il Sardo dei monti è un tipo del tutto diverso dal suo fratello della pianura. Mentre questo è di statura piccola, colorito pallido, carattere servile e tradisce chiaramente l’impronta spagnola, il Sardo delle montagne è alto, il sangue gli si gonfia e ribolle nelle vene. È attaccato alla sua vita libera e indomita a contatto con la natura selvaggia. Egli disprezza il Sardo del Meridione, il “Maureddu”, come nel Nuorese vengono chiamati gli abitanti della pianura. È fuori di dubbio che in queste montagne l’antica razza sarda si sia conservata molto più pura che nella pianura, continuamente sommersa dai nuovi invasori. Anche la lingua è la più bella e la più pura; è un dialetto armonioso e virile, con bei resti latini antichi ed una sintassi arcaica, quello che sopravvive in questi monti con sfumature varianti da un villaggio all’altro».
Questa perla è stata pubblicata nel 1908: Das Nuorese. Ein Reisbild aus Sardinien, Globus XCIII, 1908, n. 16:245-246, citato da GIULIO PAULIS nel “Saggio Introduttivo” a La Vita Rustica, di M.L. WAGNER, Ilisso, Nuoro, 1996, traduzione a cura di G. PAULIS di Das ländische Leben Sardiniens im spiegel der Sprache. Kulturhistorisch- sprachliche Untersuchungen, Worter und Sachen. Kulturhistorisches Zeitschrift für Sprach-und-Sachforschung, Beiheft 4, Carl Winter’s Universitätsbuchhandlung, Heidelberg, 1921)
I due mostri sacri della cultura sarda sono accomunati dalla visione identica di una Sardegna che è tale solo quando è immobile. Visione, tra l’altro, non originale, perché mutuata dallo Spano, come ho mostrato nel mio libro “Le identità linguistiche dei sardi” (pagg. 127-28).
È lo Spano—erudito ottocentesco, non linguista o scienziato—a inventarsi l’origine spuria delle innovazioni del sardo meridionale.
Il sardo meridionale dovrebbe le sue innovazioni all’influsso del pisano medievale.
Come possiamo vedere, siamo ancora una volta di fronte alla stessa visione ideologica della Sardegna immobile, incapace di innovarsi se non attraverso influssi esterni: come per il vino e il resto della sua storia.
In Sardegna fra tante lingue (http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&s=17&v=9&c=5075&id=296882&ni=45&c1=monografie+-+saggi&mtd=79&xctl=1&o=2&n=49&urlrif)
demolisco, sulla base di argomenti storici, demografici e linguistici, il mito dell’influsso pisano sul sardo meridionale.
Vi basti un argomento: il primo insediamento pisano a Castel di Castro (Casteddu de susu) è del 1216-17. La conquista del regno di Cagliari da parte dei pisani è del 1258. La cacciata dei pisani da parte dei catalani-aragonesi è del 1324.
Ora, per poter influenzare un’altra lingua, il pisano doveva essere conosciuto e parlato da un gran numero di persone bilingui: le lingue si mescolano soltanto nella testa degli esseri umani.
Un sardo delle mia età non avrà difficoltà a riconoscere che soltanto da pochissimi decenni il sardo sta subendo l’influsso dell’italiano, cioè da quando i sardi—la maggioranza dei sardi—hanno smesso di apprendere il sardo come prima lingua.
Per la maggior parte dei giovani sardi, la lingua dominante è l’italiano (di Sardegna) e questo adesso influenza il sardo che essi hanno appreso come seconda lingua.
Fino a quel punto era stato unicamente il sardo a influenzare l’Italiano di Sardegna.
Cioè, ci sono voluti secoli di dominazione politica e oltre mezzo secolo di scolarizzazione di massa e di esposizione ai media italiani più potenti per arrivare a modificare le strutture del sardo.
Affermare che il pisano medievale abbia influenzato in quei pochi anni—e senza scolarizzazione e mass media—il sardo meridionale significa invocare un qualche intervento miracoloso.
Chi ci ha creduto aveva ricevuto il dono della fede … o aveva tutto l’interesse a crederci.
Il mio libro sul contatto linguistico in Sardegna è di appena 10 anni fa.
Lo potete scaricare gratis dal link che ho aggiunto.
È scritto in modo accessibile e per nulla polemico.
Vedete voi.
Ho 62 anni.
Con un po’ di fortuna avrò anche io le mie soddisfazioni prima di morire.
Tanto, ormai, i Giganti hanno distrutto il mito della Sardegna immobile e incapace di evolversi senza l’influsso degli invasori.
Ne vedremo delle belle!
P.S. Ho dimenticato di parlare dei prestiti lessicali dal pisano. Poca roba, comunque e comunque insignificante. Le parole viaggiano con facilità, senza intaccare le strutture della lingua. Pensate a tutte le parole inglesi che usate senza conoscere l’inglese.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
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