Gianni Morandi l’altro giorno ha di nuovo portato a Sassari allegria, festa condivisa e appena un pizzico di dolce malinconia per i più anziani. L’anno scorso mi ero affuttato un pochino quando certi intellettuali professionisti avevano cominciato a criticare in anticipo la sua fiction sarda. E se non ti rompi le scatole ti ripropongo quello che avevo scritto allora, ricordando anche i retroscena di una sua vecchia e stupenda visita a Sassari. A me danno fastidio gli intellettuali che ti guardano scuotendo il capo quando ti comporti male. Racconti una barzelletta in sassarese o dici che certo teatro sperimentale ti sembra una fottitura e loro sorridono dolcemente mentre i loro occhi ti rimproverano: “Filigheddu, Filigheddu! Sei sempre lo stesso. A scuola ci facevi ridere perché facevi casino ma eri un asino”. Ora non è che abbiano tutti i torti quando sostengono che a scuola fossi un asino ma non è neppure che per tutta la vita possa continuare a essere un casinista asino, soprattutto ora che la vita stessa si avvia verso quella fase in cui, sussiegosa, comincia a prendere le distanze (toccando ferro e tutto il resto, ma è un fato biologico e fato con una T non è un refuso). Comunque un tempo i sapienti, con occhi di vetro colorato e ciuffetti di paglia che gli uscivano dal becco, si annidavano nei dopo conferenza, all’uscita o all’intervallo degli spettacoli o in certi locali pubblici dove ostentavano una democratica indulgenza verso la consumazione popolare di prodotti industriali. Ma poi te ne facevano certe recensioni per le quali anziché bersi tranquilli un Campari e andarsene affanculo, ti legavano il Campari a concetti storici quali la Svolta di Salerno o filosofici quali la giustizia nell’azione umana, il tutto per lasciarti intendere che nelle loro mani qualsiasi prodotto industriale diventava di nicchia. Insomma, gente così che ora ha fatto il nido anche nei social e quindi non c’è modo di evitarla. L’ultima è che la fiction sarda di Gianni Morandi sarà sicuramente una cagata. Io non voglio con la stessa sicurezza affermare il contrario, almeno sino a che non vedo la fiction, però non mi piace l’implicito e tuttavia ostentato disprezzo verso Gianni Morandi. Il fatto è che questi intellettuali che si riempiono la bocca e ci riempiono le balle di Brecht e compagnia cantante, non hanno la minima idea del rispetto che bisogna nutrire verso un artista che davvero, e sin dall’inizio della sua carriera artistica, dalla sua prima canzone sino alla Nazionale di calcio dei cantanti, non ha fatto altro che rivolgersi al popolo, farsi capire dal popolo, piacere al popolo e difendere il popolo. Figuriamoci se ora voglio fare l’esegesi delle canzoni di Morandi o discutere di quale coraggio abbia avuto a lanciare “C’era un ragazzo” nel 1966, quando una roba del genere, così antiamericana, lo avrebbe potuto eliminare per sempre dal circuito della musica leggera, se non avesse avuto dalla sua il pubblico, cioè il popolo. Eppure anche allora gli intellettuali, quando io ragazzino dicevo “Però, quel Morandi ha palle”, scuotevano la testa e sorridevano dolcemente: “Filigheddu, Filigheddu, ma non capisci che non va bene parlare in un modo così semplicistico di un fenomeno complesso qual è la guerra in Vietnam?”. Io allora non avevo sviluppato quella certa capacità che ho ora di mandare la gente affanculo e me ne stavo zitto, altrimenti gli avrei potuto rispondere che Morandi con quella canzone aveva spostato l’attenzione verso il Vietnam molto più delle nostre manifestazioni in cui percorrevano il centro urbano urlando “Giap, Giap, Ho Chi Minh”. Utili anche quelle. Ma sarebbe stato meglio dire che quei cortei e quella canzone erano complementari, anziché manifestare disprezzo verso il cantante “borghese”. E perché noi cosa cazzo eravamo, proletari? Io però ai neo intellettuali da social che criticano in anticipo la fiction di Morandi vorrei raccontare di una volta che apprezzai personalmente il vero spirito popolare di questo artista e capii d’un tratto quali meccanismi emozionali siano la base salda della sua poetica. Era la seconda metà degli anni Ottanta e Morandi venne a Sassari per non so più quale manifestazione. Io allora ero alla Nuova Sardegna il responsabile delle pagine di Cultura e Spettacoli e mi venne un’idea. Ancora non c’erano le dirette Facebook e altra roba del genere a collegare il pubblico ai protagonisti, ma avevo capito quale arma potesse essere in questo senso il telefono se unito alla forza della carta stampata, che allora era davvero formidabile. Parlai quindi con Morandi e gli proposi di trascorrere una mattinata in redazione rispondendo alle chiamate dei nostri lettori a un numero a lui dedicato che avremmo prima pubblicato con risalto sotto un titolo tipo “Gianni Morandi domani risponde al telefono della Nuova”. Accettò subito e spostò ogni impegno per presentasi puntuale al giornale nel mattino del giorno fissato. Cominciarono a fioccare le telefonate: a un ritmo impressionante soprattutto se rapportato a una platea come quella di Sassari, piuttosto scanzonata e beffarda, e che allora anche meno di ora non aveva certo propensione per divi e divismo. Erano telefonate di affetto e ammirazione sinceri alle quali si vedeva che Morandi era abituato, ma rispondeva con gioia genuina, ogni volta con il lieto stupore della prima volta. A un certo punto mi chiamò un usciere: “Filigheddu, affacciati”. Lasciai Morandi con un collega e andai verso una finestra su via Porcellana dalla quale entrava un rumore confuso di gente. Mi affacciai e sotto c’era una folla che chiamava il cantante scandendone il nome. Glielo dissi e lui balzò in piedi come un bambino davanti all’albero di Natale, corse alla finestra e si vedeva che quello era il suo mondo: i ragazzi giovani e i ragazzi ormai meno giovani accorsi lì per dirgli “Bravo!”. Ora capirete che io rispetto più una persona così che, perdonatemi, tutti gli intellettuali del mondo che scuotono dolcemente la testa dicendomi: “Filigheddu. Filigheddu”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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