Vuoi vedere il fantasma del Conte di Moriana? Non andare nella piazza omonima, perché è roba moderna, lì lui non ci va, troppi studenti di Lettere e dell’Accademia che quando il tempo è caldo affollano i giardinetti anche di notte. E neppure al Duomo di Sassari. Non lo vedrai mai aggirarsi intorno al suo mausoleo vuoto, perché – è stato scoperto da poco – i suoi resti sono murati, divisi in due, nella vicina parete: in un’urna testa, arti e tronco e in un’altra cuore e interiora, come si faceva per i reali e per i papi. E per questi ultimi si fa ancora. Se vuoi vedere lo spettro di Giuseppe Benedetto Placido di Savoia Conte di Moriana secondo me devi andare di notte in piazza Azuni, dalle parti di Tomè, dove sono ancora le fondamenta del Palazzo Reale demolito a metà dell’Ottocento, più o meno insieme alla Chiesa di Santa Caterina, alla quale era collegato da un misterioso passaggio. Lui è morto in quelle stanze nel 1802, forse avvelenato. L’avevano mandato ad abitare lì perché era governatore di Sassari e della Sardegna del capo di sopra. E lì ha passato gli ultimi tormentati anni di vita, struggendosi tra attacchi di probabile epilessia e solitari sogni che avevano come oggetto l’irraggiungibile (così si ritiene) cognata Maria Teresa d’Asburgo Este, moglie di suo fratello Vittorio Emanuele. A lei venne intitolata, alla fondazione, Santa Teresa di Gallura e gli ammiratori, quelli che hanno lasciato testimonianze letterarie, la dipingono bona come il pane e altrettanto calda nella festosa fragranza di quando è appena sfornato, oltre che abbastanza furba e spietata nell’esercizio del potere. Ecco, in quel palazzo che gli storici descrivono cupo e cadente, buio e tetro nonostante i balli mascherati che ogni tanto si facevano nelle ex scuderie, nell’ombra di quel palazzo morto io m’immagino il suo spirito alla ricerca lamentosa della verità sulla sua morte: defunto per una delle mille malattie che lo perseguitavano o eliminato da un veleno sapientemente somministrato da uno speziale giacobino? Dice: è uno di quei gialli storici che rimarranno sempre insoluti. Balle. Forse nei prossimi tempi avrà una soluzione collegata al restauro del monumento funebre al Duomo, operazione durante la quale si potranno riportare alla luce i resti del governatore di Sassari. In questo contesto Eugenia Tognotti, docente di Storia della Medicina, studiosa, scrittrice e giornalista di fama nazionale, è riuscita a convogliare sul Savoia in questione l’attenzione di ragguardevoli suoi colleghi scienziati in un progetto di ricerca al quale collaborano anche la Diocesi, la soprintendenza e l’università. I resti verranno riesumati e i paleopatologi si metteranno alla caccia di eventuali tracce di veleno, se c’è, naturalmente, e se è uno di quei veleni che lasciano tracce durature, come a esempio l’arsenico. Tra questi ricercatori, Gino Fornaciari, docente a Pisa, noto per avere riesumato il corpo di Cangrande della Scala, mecenate di Dante, morto nel 1329 per un sospetto avvelenamento. Fornaciari, settecento anni dopo, è riuscito a dissipare il sospetto: digitale purpurea, micidiale, fatta bere al capo ghibellino tra i confusi sapori e profumi di un decotto a base di camomilla e gelso. Del Savoia presunto assassinato da terroristi seguaci di Napoleone e di Angioy si parlerà a Sassari giovedì 22 marzo alla Fondazione Sardegna in via Carlo Alberto, ore 16, in un seminario interdisciplinare sul monumento funebre e sui resti del Conte di Moriana. Il mausoleo (o meglio, il cenotafio, ora che sappiamo che il corpo non è lì dentro ma murato accanto) venne realizzato nel 1807, su commissione di Carlo Felice, fratello di Giuseppe Benedetto. L’artista era Felice Festa, che per qualche tempo a Roma aveva frequentato anche la bottega di Canova. E infatti i critici più con puzza sotto al naso dicono che quel pot pourri marmoreo sassarese, pur apprezzabile nel suo stile neoclassico, ha la palla al piede di essere un “Canova minore”, come peraltro l’altro monumento funebre sardo-savoiardo di Festa, quello al Duca di Monferrato nella Cattedrale di Alghero. Il seminario sarà una sintesi degli studi fatti e di quelli che restano da fare sino alla soluzione del giallo storico, che potrebbe anche concludersi nel non giallo di una morte naturale. Sono previsti diversi interventi, tra i quali naturalmente quello di Eugenia Tognotti, responsabile del Centro per gli studi antropologici, paleopatologici e storici dei popoli della Sardegna e del Mediterraneo, costituito nell’ambito del dipartimento di Scienze biomediche dell’università, che illustrerà la biografia del Conte di Moriana e la travagliata storia del suo corpo. Andrea Montella, dell’università di Sassari, racconterà dell’autopsia, quasi più rituale che realmente ispettiva, compiuta dai medici dell’epoca, i quali non avevano alcun strumenti di indagine se non i loro occhi: insufficienti quindi, per la scienza contemporanea, le conclusioni che nel 1802 attestavano una morte naturale. E alle quali peraltro non aveva creduto neppure Vittorio Emanuele, il fratello re del morto, che scrisse all’altro fratello Carlo Felice di sospettare un avvelenamento. Ma no – gli rispose pressapoco il Savoia che ha dato il nome alla strada che collega il Nord al Sud della Sardegna -, ma quale avvelenamento! Nostro fratello aveva tante di quelle malattie che c’è solo da scegliere quella che ha fatto prima. Le parole magari erano più appropriate ma il senso era questo. Tra i numerosi altri interventi di ordine storico, architettonico, artistico e medico, anche quello di Gino Fornaciari, lo Sherlock Holmes di Cangrande. Ma qual è la storia del Conte di Moriana e perché Vittorio Emanuele sospettava dei giacobini? Innanzitutto perché i Savoia vivevano nella paranoia della rivoluzione francese e dei suoi derivati sin dagli incontri con Madame Guilottine di Luigi e Maria Antonietta. Quando nel 1798 l’armata del giovane Bonaparte prese Torino, i Savoia fuggirono in Sardegna. E il nostro Conte di Moriana, di stirpe reale, nel 1799 diventò governatore di Sassari. Era uno di quelli che il terrore dei rivoluzionari ce l’aveva nel sangue, che viveva ogni giorno l’ancora recente trauma della decapitazione dei reali parigini. Probabilmente aveva tradotto questa tensione esistenziale in una caterva di sindromi psicosomatiche: svenimenti, mal di testa, sonnolenza. Ma anche convulsioni ricorrenti, sintomo come in altri della sua famiglia di epilessia. Era triste, parlava poco, a Sassari gli avranno sicuramente detto “mutrioni”, ho testimonianze letterarie che all’epoca l’epiteto era già esistente e penso che gli si attagliasse benissimo, poveruomo. Anzi tanto povero non doveva essere pure se i Savoia avevano molti dei loro beni nelle mani dei francesi. E l’amore per Maria Teresa certo non faceva bene a una salute così sensibile alle delusioni: perché non si ha notizia che la donna, estroversa e affascinante, oltre che sufficientemente cinica, sia mai andata oltre la cortese manifestazione di un fraterno e solidale affetto. Nel 1802 ci fu l’impresa degli angioiani in Gallura, che gettò ancora un volta nel terrore il Conte di Moriana e nella rabbia più nera suo fratello, il vicerè sardo Carlo Felice. L’altro fratello, il re Vittorio Emanuele, da Roma dove era ospite-rifugiato politico, diede via libera a Carlo Felice, che attuò una repressione sanguinosa. Ne fu simbolo la fine straziante di uno dei rivoluzionari catturato a opera di un traditore e portato a Sassari nel terribile carcere di San Leonardo: il notaio Francesco Cilocco. A perseguitarlo, pagando persino il boia perché gli facesse più male, fu soprattutto il famigerato Duca dell’Asinara, ma il Conte di Moriana, che probabilmente in quei giorni non usciva neppure di casa, era in qualche modo istituzionalmente responsabile di quella barbarie. Cilocco venne frustato fino a strappargli la pelle di dosso (l’illuminismo era ormai un fatto culturale diffuso e non solo le nascenti classi medie ma anche i ceti meno colti erano in grado di capire il feroce anacronismo di questa pratica e restarne indignati) . In queste condizioni fu trascinato al patibolo e il suo corpo restò a lungo esposto. Questa è una ricostruzione in cui il nostro Conte ha una parte da comparsa, ma c’è una certa scuola storicistica sarda che nella vicenda Cilocco non gli attribuisce un ruolo poi così passivo. Dicono cioè che se pure non fu tanto volgare quanto il Duca dell’Asinara che si affacciò al balcone del suo palazzo accanto alle Carceri per schernire a gran voce il moribondo, anche il Conte, con ordini e disposizioni appropriate, fece come ogni buon Savoia il suo dovere di amministratore di giustizia a suon di frusta e capestro. E comunque, quando pochi giorni dopo la barbara morte di Cilocco il Conte di Moriana morì improvvisamente dopo avere bevuto un bicchiere d’acqua, si pensò a una vendetta. La tortura del notaio aveva suscitato tale indignazione che la caccia al colpevole avrebbe dovuto svolgersi in ogni casa e in ogni vicolo di Sassari. Dopo neppure due giorni ci fu l’autopsia e i medici visionarono le viscere dichiarandole sanissime. Un gentiluomo di corte commentò indignato per i sospetti: “Grazie a Dio non siamo tra i tartari e a nessuno può venire in mente un delitto sì enorme”. Ma in ambienti di famiglia reale si sospettava di Salvatore Muroni, speziale e quindi esperto in veleni, ma soprattutto simpatizzante di Giommaria Angioy, che in qualche modo sarebbe riuscito a vendicare Cilocco. A scagionarlo furono due circostanze: l’esame autoptico necessariamente approssimativo dei due chirurghi incaricati e lo scetticismo di Carlo Felice, dettato più probabilmente da ragioni di convenienza politica che da convinzione. Insomma, fra un po’ l’esame dei resti esumati da uno dei muri della Cattedrale di San Nicola ci dirà se il Conte di Moriana potrà tornare a dormire in santa pace sognando la cognata o se il suo spettro dovrà continuare ad aggirarsi in piazza Azuni insieme a quelli del martire Francesco Cilocco e del suo vendicatore Salvatore Muroni.
In alto, il cenotafio del Conte di Moriana al Duomo di Sassari
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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