Dopo due ore e mezza siamo arrivati al campus dell’università di Be’er Sheva. Siamo passati attraverso i metal detector, sotto lo sguardo delle guardie armate di mitra. Dall’altra parte del recinto c’era un prato verdissimo. L’erba era diversa da quella che conoscevo: molto più grossa, robusta. Ho chiesto che erba fosse: “Uganda” mi hanno detto. Mi sono chinato a toccarla: era ancora umida. Mi sono tolto le scarpe per camminarci su a piedi nudi: era ruvida, appena tosata, e faceva il solletico alle piante dei piedi. E c’erano palme e altri alberi fioriti che non conoscevo. C’erano tanti fiori.
Sara è andata all’ufficio per le iscrizioni e io sono rimasto su quel prato, all’ombra. Il prato era circondato da edifici moderni e belli. Sulla facciata c’erano scritti, con grandi lettere di metallo, i nomi dei donatori: nomi inglesi e cognomi ebraici. Il contrasto tra quel piccolo paradiso terrestre, circondato dal recinto e protetto con i mitra, e il mondo esterno non poteva essere più grande.
Anche l’acqua che rendeva così verde quel prato doveva venire da un altro posto lontano, alieno. Sicuramente dal Giordano. Ho cominciato a pensare che la sicurezza non gli bastava, a loro, agli Israeliani. Volevano la sicurezza, l’acqua e il resto. Volevano tutto. Avevano già tutto e non volevano più perderlo. Perché dividere quello che era già loro, dopo che se l’erano conquistato?
Conquistato con la forza? Amen.
C’erano delle donne bellissime su quel prato, di una femminilità a cui non ero abituato e che mi confondeva. Sara è tornata dopo più di un’ora.
– Bastardi, me l’aspettavo. Vogliono che restituisca i soldi della borsa di studio che ho ricevuto finora. Altrimenti niente attestati per gli esami che ho già dato. Chiederò a mio padre.
Abbiamo mangiato qualcosa alla mensa del campus e siamo saliti sull’autobus per tornare a Gerusalemme. Sara era di malumore.
– Per quei soldi mi toccherà sentire le prediche di mio padre per il resto della mia vita. O almeno della sua.
Siamo arrivati a Gerusalemme verso il tramonto e la città vecchia era davvero dorata, come dicevano. Mi sembrava di vedere Cagliari al tramonto, quando si parte con il traghetto. La stessa pietra calcarea quasi bianca che, con quella stessa luce, tra il giallo e il rosa, sulle mura e sulle torri, diventava dorata.
Ma a Cagliari c’è il mare.
Da Tutto e niente
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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