Sottotitolo: le mie tette strabiche. Storia di una mastoplastica. Succede che a qualche mese di distanza dalla fine-radio, un giorno di febbraio 2015, venga fissato l’intervento di ricostruzione del seno. Mi chiamano dallo IEO per il pre-ricovero e poi fissare l’operazione. Ricordo che tutto stava andando storto, attese più lunghe del solito, un’infermiera non troppo gentile ai prelievi e ciliegina sulla (s)torta, fissarono la data del ricovero proprio quando il mio socio di vita era più impegnato del solito e dovette fare salti mortali per accompagnarmi. Quanti segnali che le stelle mi mandavano. Avessi avuto vicino Paolo Fox, mi avrebbe dato la giusta lettura, invece qualcuno interpretò male le mie richieste e come Fox mandò la Samantha che con le sise in effetti aveva più senso. In quel periodo diversi amici pensarono che la mia angoscia fosse dovuta ai vari attentati che si susseguirono tra Parigi e Nizza, traducibile quindi nella paura di viaggiare. Almeno razionalmente non era quello che mi preoccupava, in realtà non so proprio cosa potesse essere. Molto probabile è invece una reminiscenza della mia vita precedente: so per certo di essere stata un orso da cui ho ereditato non solo peli e asocialità ma soprattutto il sacro letargo dei mesi invernali. Sicché nei mesi freddi, viaggiare in luoghi che richiedano il colbacco nello starter pack, è inammissibile. E infatti vuoi che in quell’anno a Febbraio non si verificasse una bella ondata di freddo con neve annessa?
Foooox dove seiiiii, cosa mi vogliono dire gli astri? Il bello di tutto questo mix di sensazioni è che, una volta varcata la soglia dello IEO, tutto ciò svanì in un sol colpo. Mi ritrovai a parlare con un infermiere simpatico col quale scambiammo due o tre battute e poi eccomi pronta con la divisa d’ospedale, aspettando alba e operazione. La sera viene la chirurga a tracciarmi tutti i disegnini, nota che pelle e muscolo pettorale non hanno subito alcun “indurimento” dalla radio e nota che con quella bella scoliosi che mi porto dietro, l’inutilità da una parte e il rischio di fare la ricostruzione con “Il Gran Dorsale” (che sembra il titolo di un film western), è quello di accentuare ulteriormente questa asimmetria. Buone notizie insomma, giusto? Visto che quell’intervento lì mi avrebbe obbligata a stare non so quanto tempo immobile con padella collegata, sostituirlo con qualcosa di più “leggero” è sì una good news.
Per quella notte rimasi sola in camera a guardare la neve e guarda come viene giù. Mi addormentai serena. Poi risveglio, accompagnamento nel blocco operatorio e un’infermiera che mi chiede “Ma non sono passati per la rasatura delle ascelle?” Così prende il rasoio e veloce vrrrrrrrt Foooooox anche i peli mi parlano, Fooooox conosci il linguaggio pilifero? Anestesia, fruga fruga mentre io ronfo e poi il risveglio. Solita fame chimica che però non posso soddisfare fino all’indomani e rieccomi in cameretta dove è già arrivata la compagna di stanza. La ricostruzione-standard in genere si fa in day surgery sicché dovrei essere rimandata a casa la sera stessa o massimo massimo il giorno dopo. Invece. Invece. Le stelle non mentivano e dovrò passare tre giorni pernonsoqualecomplicanzadurantel’intervento.
Il giorno dopo finalmente posso mangiare a colazione e qui avviene un giallo. La mia compagna alzatasi per mangiare, vomita l’anima. Così, abbandonando momentaneamente la mia agognata fetta biscottata, corro ad avvisare gli infermieri. Una volta calmatesi le acque, torno a fare colazione (mica mi lascio impressionare. Davanti al cibo non ce n’è per nessuno). Ma la fetta biscottata non c’è più! Sparita! Evaporata! Controllo anche nel cestino tante volte gli infermieri avessero pensato «Figuriamoci se avrà ancora voglia di mangiare», nessuna traccia più del carboidrato. Quella giornata la ricordo tristemente con questa nota inquietante e come un ennesimo segno del destino beffardo Sì perché dopo tutti questi moniti che Nostradamus in confronto è un pivello, succede che… avete presente quella trasmissione dove delle persone vorrebbero cambiare aspetto e un chirurgo, un truccatore e insomma tutto uno staff li trasforma in cigni? Avete presente che loro si vedono per la prima volta allo specchio e stupore! Meraviglia! Gioia (almeno una)! Ecco, quando finalmente ho tolto le bende dal mio petto nuovo, il trauma. Pareva mi avessero trapiantato il seno di un’altra persona. Due seni totalmente diversi in tutto e completamente strabici. Talmente brutti che ogni medico che mi ha visto, ha esclamato: «Ma che brutto lavoro, chi gliel’ha fatto?» «Dott Xxxxxxxx» «Ah! No no, è bravissimo» Sì non stiamo a sottilizzare l’incongruenza del dialogo, il messaggio vuole essere lo sconcerto iniziale davanti a cotanta bruttura. E allora eccoli, ora vi aspetto al varco, moralisti da terza persona, quelli che trovano l’ottimismo solo per le iatture altrui, che dicono: «Ma con tutto quello che hai passato, ti preoccupi che il seno sia così e cosa?» Allora signori miei, giusto un briciolo di spiegazione ve la elargisco, perché la ricostruzione doveva essere la fase conclusiva e bella di un percorso un zichinin difficoltoso, quindi voi che avete l’opinione tascabile e sempre pronta, vedete di rispettare un momento (o anche più di un momento) di rabbia e sconforto. Perché per me è stata davvero una delusione vedermi così allo specchio. Neanche con l’espansore provvisorio, portato in un solo seno prima di quelle protesi definitive, le mie tette erano così diverse e chiaramente prima o poi quella frase lì ti viene da dirla: «Possibile che non me ne vada bene una?» non è vittimismo, è un normalissimo sconforto e come già detto, va rispettato almeno finché uno non se ne fa una malattia.
Malattia? Qualcuno ha detto malattia? No perché se le teorie antroposofiste c’entrassero in questa storia, spiegherebbero perché esattamente un anno dopo, una strana febbre… [continua]
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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