Frugando su YouTube ho trovato un bellissimo documentario in cui si raccontano le varie missioni Apollo che, a partire dal 1969, portarono più volte l’uomo sulla Luna. Più che un documentario è un flusso di coscienza, pensieri sparsi raccolti dagli astronauti mentre compivano la conquista di quel poco spazio che separa il nostro pianeta dal suo satellite.
Mi ci sono imbattuto perché una rivista mi ha chiesto di scrivere un articolo sui cinquant’anni dalla prima passeggiata di Neil Armstrong e Buzz Aldrin nel Mare della Tranquillità.
Mi sono immerso in un periodo della storia che, per ragioni anagrafiche, ho conosciuto solo attraverso i documenti rimasti. Mi è sembrato un periodo bellissimo, nonostante tutto.
Sono giorni in cui, causa un infortunio, non posso muovermi da casa e ho un’autonomia limitata. E allora, dal mio divano, ho iniziato a cercare tutto quel che si poteva sapere sulle missioni lunari.
Ho sentito scandire dalle voci originali “Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità” e l’equipaggio dell’Apollo 13 segnalare che “Houston, we have a problem”. Sempre a proposito dell’Apollo 13 ho sentito anche la testimonianza commossa di uno dei capoccioni della Nasa: in piena guerra fredda, i russi garantirono il loro aiuto per il recupero degli astronauti di ritorno alla missione spaziale fallita.
Ho sentito i giornalisti Tito Stagno da Roma e Ruggero Orlando da Houston che, in diretta su RaiUno, litigano perché in disaccordo sul preciso momento dell’allunaggio, all’alba di quel 20 luglio 1969.
Ho ascoltato l’intervista a Rocco Petrone, figlio di emigrati lucani, diventato responsabile dei lanci dei razzi Saturno da Cape Canaveral e poi capo del progetto Apollo al posto del barone Von Braun.
Ho visto il filmato originale della inaugurazione della targa dedicata a Michael Collins, il terzo e meno celebrato viaggiatore dell’Apollo 11. Fissata al numero 16 di via Tevere, Roma, perché Collins è nato in Italia.
Ho letto la stupenda risposta che il direttore della Nasa Ernst Stuhlinger inviò ad una missionaria africana, che gli chiedeva come si potessero spendere tanti soldi in missioni spaziali quando milioni di bambini morivano di fame.
Ho visto ripetere sulla Luna gli esperimenti sui gravi che si dice Galileo avesse messo in scena dalla Torre di Pisa, tre secoli prima.
Ma la cosa più bella sono i pensieri dei protagonisti in viaggio. Parole che fluttuano leggere nel vuoto cosmico.
Pensieri quasi sempre ispirati dalla visione del pianeta Terra sotto di loro. Uno, senza confini, nella sua immutabile perfezione.
“Non penso al Texas o agli Stati Uniti, da qui, penso che quella laggiù è la Terra”, dice uno degli esploratori.
E poi c’è un altro piccolo frammento di quelle storie che mi ossessiona, dal giorno in cui l’ho visto. Uno degli astronauti – non saprei dire chi, né di quale delle missioni facesse parte – guarda sotto di sé e vede, nel continente africano, dei piccoli bagliori. La Terra è ancora vicina e riesce a distinguerli quasi nitidamente.
Sono i fuochi accesi dalle tribù nomadi del deserto. E mentre l’astronauta viaggia verso la Luna su un razzo da migliaia di tonnellate, il massimo che la tecnologia mondiale sapesse esprimere, i suoi occhi sono rapiti da quei lumi, nella notte del deserto africano. Non lo dice, ma sente di essere in viaggio anche per loro, per quegli uomini delle tribù che forse nulla sapevano di quel razzo sulle loro teste.
Certo, c’era la guerra fredda e la competizione tra i due blocchi. Ma quegli anni non sono stati solo il braccio di ferro tra due superpotenze.
Sono stati anche il momento in cui si poteva guardare la Terra come un corpo unico, senza muri né frontiere.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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