Richiamando Flaiano, se un marziano nei giorni del Giro d’Italia fosse atterrato sulla Sardegna avrebbe potuto classificare con buona precisione le categorie dei suoi abitanti e dei suoi opinion leader.
Di fronte ad una manifestazione di questa grandezza, avrebbe osservato una Sardegna entusiasta e gioiosa, aperta al mondo e felice di esserne parte, convinta che sia una follia vedere qualcosa di sbagliato nell’incontro tra la gente, in una festa di natura, paesaggi, colori, una Sardegna umile e per questo pronta a capitalizzare al massimo la grande occasione di una lunga e riuscita esposizione mediatica, libera da patetici vittimismi e conscia che ognuno è artefice del proprio destino, in virtù dei propri meriti e del proprio impegno.
Una Sardegna ben consapevole che tre giorni di televisione non cambiano nulla, se non si è capaci di approfittarne, di stabilire contatti e relazioni. Una Sardegna consapevole che il Giro d’Italia non risolve il problema della disoccupazione, dell’autosufficienza alimentare, della dismissione industriale, dello spopolamento, del credito insufficiente, del caro trasporti, delle debordanti servitù militari, ma pure convinta che avere i riflettori puntati addosso male non faccia, perché non abbiamo nulla da nascondere e, anzi, abbiamo molto da mostrare.
Questa Sardegna era negli occhi raggianti e rivolti al grande schermo del vecchietto dalla faccia rugosa che avevo alle spalle, dietro le transenne del rettilineo d’arrivo, a Olbia: “Vedrai quanta gente verrà in più, quest’anno, con lo spettacolo che stanno mostrando!”. Questa Sardegna era nell’emozione confidatami dal fotografo Antonello Zappadu nell’ammirare le immagini aeree della costa gallurese trasmesse in diretta in Colombia, dove Antonello risiede e dove i tifosi trepidano per Nairo Quintana.
Ma il marziano avrebbe visto anche altro. Contrapposta a questa, il marziano avrebbe conosciuto una Sardegna ostile, abituata a interpretare come invasione o ingerenza ogni momento di condivisione col resto del mondo, appostata dietro il muretto per trovare il pretesto, l’appiglio, la polemica strumentale per incitare alla divisione, per generare e alimentare una rabbia triste, senza sbocco, se non piccole strategie tese a raggranellare un consenso elettorale che passa attraverso il messaggio “va tutto male, fa tutto schifo, col Giro vi prendono in giro”.
Il marziano avrebbe conosciuto una Sardegna che preferisce anteporre due discutibili minuti di telegiornale (peraltro quasi tutti occupati da apprezzabili dichiarazioni di un bibliotecario di Orgosolo) e qualche accento sbagliato nella pronuncia dei toponimi (molto fastidiosa, certo) a tre giorni di diretta e rubriche della Rai, di immagini su Alghero, Sassari, Sennori, Sorso, Castelsardo, Valledoria, Badesi, Trinità, Aglientu, Santa Teresa Gallura, Palau, Cannigione, San Pantaleo, Olbia, Padru, Alà, Buddusò, Bitti, Nuoro, Oliena, Dorgali, Baunei, Lotzorai, Tortolì, Villasimius, Maracalagonis, Quartu, Cagliari e chissà quanti ne sto dimenticando. Quale peserebbe di più, se mettessimo sul piatto della bilancia i due aspetti del servizio pubblico?
Avrebbe visto, il marziano, sardi che deridono altri sardi spiegando loro come devono vestirsi, perché orgogliosamente indossano il costume tradizionale. Come se qualcuno glielo avesse imposto come una divisa militare, come se fossero delle ignare marionette vestite ad uso e consumo di chi quella Sardegna arcaica vuole vedere e perciò deve essere accontentato, secondo un certo luogo comune che vuole parte dei sardi remissivi e accondiscendenti.
Il marziano avrebbe visto, oltre al baraccone degli sponsor con i loro figuranti al seguito della carovana, paesi pieni di vita, alberghi e ristoranti occupati nei luoghi in cui il Giro è passato. Ma avrebbe sentito altri sardi dire che no, non va bene manco così, meglio niente, meglio il silenzio, meglio la fame dell’economia che arriva da una cosa arrivata dall’altra parte del mare. Poi avrebbe sentito i medesimi predicare l’unità dei sardi. Il marziano avrebbe sentito anche quelli che “non c’era bisogno del Giro per sapere che la Sardegna esiste”, come se il turismo e la cultura possano fare a meno della promozione, come se per esistere non serva, in qualche modo, dar segno visibile di sé. Come se non serva ribadire che migliaia di persone che transitando in un luogo ai primi di maggio significano che quel luogo esiste oltre al mare e al sole d’agosto, che si può fare economia dell’accoglienza anche prima e dopo l’estate. Il Giro d’Italia sono migliaia di persone che si muovono, pedalano, mangiano, dormono, osservano e commentano, non speculatori immobiliari, non venditori di fumo e ciminiere, non spacciatori di pale eoliche o pannelli termodinamici. Visto tutto questo, il marziano se ne sarebbe tornato sul suo pianeta, divertito e confuso, ripensando a quanto rumore possa provocare il passaggio di duecento biciclette silenziose.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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