E adesso che fare cinema sembra una cosa meno sacerdotale di prima, mi ricordo di una notte alla Maddalena. Oggi perciò il mio personaggio è Franco Solinas. Ora pensate se potevo fare il disinvolto, io, a quel tavolo, davanti al risotto con i crostacei artisticamente conficcati nel mucchio fumante ma la gola ostruita da una colata di confusione. Davanti avevo Luigi Magni e Franco Cristaldi con sua moglie Zeudi Araya, bella come la luna e innamorata come un cucciolo di pantera: era chiaro, bastava vedere come l’attrice e il produttore si guardavano. Magni e Cristaldi parlavano di cinema, ogni tanto mi chiedevano qualcosa e per fortuna non aspettavano risposte. Zeudi Araya chissà come aveva capito che ero pronto a fuggire simulando una scarica di diarrea. E mi proteggeva, sviando la conversazione quando si avvicinava pericolosamente a me. La guardai grato. Per quanto riuscivo a guardarla, dato che mi intimidiva come gli altri due messi insieme, perché all’intelligenza aggiungeva un carico fisico non indifferente. Mi accontentavo di ascoltarli, quei tre, quella notte alla Maddalena. Franco Solinas era morto pochi anni prima. In quegli Ottanta si poteva ancora soffrire se mancava un grande intellettuale. Non era ancora l’epoca in cui l’importanza di ciò che dici è data dal numero dei “mi piace” su Facebook, dove spesso dai commenti capisci che una percentuale di quelli a cui sei piaciuto non hanno capito un cazzo di quello che hai detto. Erano ancora tempi in cui se moriva un sardo che aveva scritto il cinema dell’impegno sociale, quello di Pontecorvo, di Rosi, di Maselli, di Costa Gavras, di Losey, che aveva fatto nascere lo spirito di quello Squarciò della Maddalena che si incarnò in Yves Montand, ecco, se moriva uno così dispiaceva a tutti. E quindi nel 1985 Gian Maria Volontè aveva avuto l’idea di un premio intitolato a Solinas, con sede alla Maddalena, per la migliore sceneggiatura cinematografica. Felice Laudadio l’aveva realizzata creando quello che per molto tempo restò uno dei principali appuntamenti della cultura italiana. Due o tre anni dopo un’edizione venne sponsorizzata dalla Nuova Sardegna e io, come responsabile della Cultura, venni inviato alla Maddalena per rappresentare il giornale. Partecipai anche – naturalmente solo come osservatore – ad alcune propaggini dei lavori della giuria presieduta da Cristaldi e di cui facevano parte personaggi del cinema quali Age, Benvenuti, Pirro, Suso Cecchi d’Amico, Luigi Magni e altri rappresentanti della cultura italiana quale lo scrittore Salvatore Mannuzzu. Non erano tutti alla Maddalena in quei giorni, ma quelli che c’erano bastavano a tenermi in costante allarme. Sapete, la gente del cinema, come quella del teatro, ha tutto il fascino dell’immediatezza. Se dal loro punto di vista sei un coglione, te lo dicono. Ed ero quindi molto attento ad aprire bocca il meno possibile, anche per evitare brutte figure al mio giornale. Quella sera, dunque, nel ristorante dell’albergo, parlavo soltanto quando raramente si affrontavano argomenti su cui ero ferrato. E pensavo che quel signore dai folti capelli grigi e dai baffi ironici e sorridenti che chissà perché mi ricordava Mario Soldati, era Franco Cristaldi, quello che aveva scoperto la produzione del “cinema d’autore” e aveva insegnato a chi voleva impararlo che investire nella cultura premia anche a lunga scadenza e pure in soldoni. E pensavo anche all’altro, il romanaccio Luigi Magni, il regista che aveva fatto Nell’anno del Signore, In Nome del Papa Re e tanti altri capolavori. Avevo letto le sceneggiature in concorso. Mi chiesero un parere e probabilmente di culo mi dilungai su quella che non avrebbe vinto quell’edizione ma che avrebbe avuto il maggiore successo sullo schermo. Poi seppi che Magni l’avrebbe voluto fare vincere, quel lavoro, e fu probabilmente per questo che cominciò quella sera a guardarmi con una certa simpatia. Cominciarono a parlare della Maddalena, di quale luogo magico per il cinema ne avessero fatto Solinas e Volontè, cose così, dette da gente per cui le sensazioni sono fatti scientifici. A quel punto mi accadde una cosa che purtroppo ancora oggi ogni tanto mi succede: persi ogni ritegno e dissi quello che avevo in testa. -La vera magia non è in tutta l’isola. E’ in un luogo particolare. Mi guardarono tutti e tre. -Villa Webber, voglio dire. Quel grande palazzo in stile moresco sul promontorio, a Padule. Cristaldi mi sembrò deluso. -Quella di Mussolini? Feci segno di sì con il capo. Era la casa dove Mussolini venne tenuto prigioniero per una decina di giorni dopo il colpo di stato del 1943. Poi si seppe che i tedeschi volevano liberarlo con un attacco di sottomarini e allora lo trasferirono al Gran Sasso, dove i nazisti lo liberarono con gli alianti. Lo sapevano tutti, era banale. Magni intervenne scettico. -E tu faresti una sceneggiatura su Mussolini a villa Webber? -No, niente Mussolini. Se lo sapessi fare a me piacerebbe raccontare per il cinema il vero mistero di villa Webber. -Cioè? -Sapete, il primo ad abitarla dopo la sua costruzione alla fine dell’Ottocento, fu appunto un certo James Webber, un misterioso inglese forse un po’ spia della regina Vittoria, amante dei libri e dell’arte. Dopo la sua morte accadde che… E continuai per un po’ a dire quella che da storia vera diventava la mia storia, sino a che Magni non mi interruppe. Stranamente mi sembrò pensieroso, quasi sulle spine -E’ ‘na fregna, nu’ cammina. Zeudi Araya lo guardò con occhi che ancora mi illudo fossero di cortese e affettuoso rimprovero, mentre Cristaldi fece un sorriso da gatto mammone, la faccia di uno che sembrava capire sino in fondo il senso di quella brusca uscita. Tutto questo era durato pochi minuti, si cambiò discorso e alla fine della cena, prima di andare a letto, andai verso il molo a fare due passi con un collega. E mi sentii chiamare. -Regazzì, come cavolo te chiami… Cosimo! Io avevo già passato i trenta e quindi ebbi il sospetto che il “ragazzino” detto da Magni che veniva verso di me nella notte fosse riferito più che altro alla mia età mentale. Il regista disse al mio accompagnatore. -Senti, scuseme. Con coso qui… Cosimo, dobbiamo parlare di questioni dell’organizzazione del premio, te dispiace…? Quello se ne andò e Magni mi guardò con un sorriso. -Te se’ offeso? -Per cosa? -Ma no fa finta, che quanno t’ho zittito hai fatto una faccia da vergine inculata. -Ma si figuri, era soltanto una storia che avevo in testa e l’ho detta. -E nun sai che le storie nun se dicono a cani e porci, che se tengono anniscoste finacché nun le se scrive? -Ma lei e il dottor Cristaldi non siete cani e porci. -Lo semo, lo semo. E che te credi, sai che le idee da noi so’ oro zecchino? Nun se sprecano pe fa’ conversazione alle cene. -Quindi le sembrava interessante? -Me sembrava, me sembrava. Senti, indov’è questa villa, ce se arriva a piedi? -Si fa prima in macchina, io ho la mia posteggiata all’albergo. -E annamo. Erano gli anni del degrado di villa Webber, il portone non era neppure chiuso a chiave, dall’atrio si intuivano nell’oscurità cumuli di salvagente rossi buttati in un angolo del salone, usato come deposito da chissà chi. E cominciai a raccontare. -In questo merdaio un tempo c’era una bella e misteriosa collezione di oggetti e… Alla fine Magni mi chiese. -E tu ‘sta roba la scriveresti? -Io non lo so se la so scrivere, una sceneggiatura. -Questo che m’hai ariccontato se chiama soggetto. La sceneggiatura è un altro negozzio. Un soggetto sara’ bono puro tu a scriverlo. -Ci provo. -Poi pe’ la sceneggiatura ce rivedemo. Mi diede un indirizzo e un numero di telefono. Il soggetto non l’ho mai scritto e Magni non l’ho più rivisto. Qualche anno fa, quando ho sentito al telegiornale che era morto, mi sono detto. -Come al solito, Filigheddu: sei un fiacco e indolente coglione.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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