Via Francesco Cilocco è lunga tredici passi e larga tre. C’è scritto via ma è un vicolo tra via Università – che è un percorso ancora vivace – e via Gerolamo Araolla, un erudito poeta umanista del Cinquecento che gode di una via poco importante ma affascinante, una di quelle strette che come via Cilocco guizzano improvvise o serpeggiano indolenti intorno alla mole di Palazzo Ducale immersa a forza dal Duca dell’Asinara alla fine del Settecento tra le casupole di Sassari intorno al Duomo. I nomi delle vie sono monumenti. Servono a ricordare ma poi la storia li assorbe, dopo un po’ dicono soltanto quello che sono adesso e che gli sta intorno; la persona o il fatto che dovevano evocare non abitano più qui. Cancellarli o cambiarli serve soltanto a confondere idee e ricordi legati al luogo che li ha accolti. Togliere il nome di un puzzone da una grande piazza non cancella né lui né il male che ha fatto, così come attribuire a un eroe qualcosa di più di un vicoletto nel quale non passa mai nessuno non servirà a dare lustro a uno che lo merita. Quindi dovrei dire che via Cilocco ha la sua storia ormai consolidata in quanto budello 13 passi per 3 del centro storico di Sassari e che il fatto che il notaio di Cagliari Francesco Cilocco abbia sofferto quanto Cristo sulla croce e che come lui sia morto più o meno a 33 anni per liberare Sassari dai tiranni sanguinari e affamatori tollerati e incoraggiati dai Savoia, non giustifica il fastidio di dedicargli qualcosa di meglio. Però, poco scientifico come sono nel metodo e ignorante nella conoscenza dei fatti, mi sono fatto un assurdo cinema, su Cilocco. E cioè che l’uomo frustato nel 1802 legato al dorso di un mulo mentre dal carcere di San Leonardo lo portavano alle forche, mentre il Duca dell’Asinara lo sfotteva ridendo da una finestra del suo palazzo nell’attuale piazza Tola incitando il boia a non andarci leggero, mentre il governatore Conte di Moriana, fratello del Re, se ne stava chiuso nel palazzo reale nell’attuale piazza Azuni dopo avere dato ordine di torturarlo, impiccarlo, tagliare la testa al cadavere per lasciarla esposta e di bruciare il corpo, mentre molti poveri di Sassari prezzolati dai nobili gli andavano dietro sghignazzando e urlando “Guarda il cagliaritano”, ecco, io penso che questo giacobino sia il nostro peccato originale. Parlo della seconda origine di Sassari, quella dell’Ottocento, quando riscattandosi dal feudalesimo sanguinario e avido dei nobili, dal potere oscuro e rapace della Chiesa ancora spagnoleggiante, costringendo i nuovi dominatori piemontesi a mostrare certi aspetti positivi della loro cultura politica, Sassari stava per diventare una città davvero. Poi accaddero molte cose che rallentarono quest’onda. E il progresso, lungo tutto il secolo, fu sempre una mongolfiera frenata che ogni tanto sembrava stesse per spiccare il volo ma che veniva sempre trattenuta da una invincibile zavorra. Sino al declino attuale di una città che oltre alla ricchezza sta perdendo anche la sua identità. E se rendendo un vero onore al giacobino cagliaritano venuto a morire da noi e per noi ci facessimo finalmente perdonare per quello che gli abbiamo fatto e spezzassimo questa maledizione? Chissà, forse vale la pena di tentare.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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