Bisogna saper camminare sulle parole per raccontarle e, soprattutto, cantarle. Bisogna sapersi muovere e regalare onde di emotività in un palco che diventa nave calma ed intimista quando le note camminano sulle parole di “sempre per sempre” e stanno, appunto, coerentemente dalla stessa parte oppure ondeggia, sino a diventare tempesta, quando è “vieni via con me” a dettare i tempi. Due autori davvero lontani: Francesco De Gregori e Paolo Conte uniti da una voce e da una forza dolcissima, struggente e, nello stesso tempo dirompente: Fiorella Mannoia. Bisognava esserci ieri sera all’arena grandi eventi di Cagliari, insieme alle altre migliaia di persone ad osservare Fiorella che ci canta la sua prima canzone, il debutto avvenuto nel lontano 1968, quel “bimbo sul leone” scritta da Adriano Celentano. Bisognava esserci quando da caffè nero bollente è passata a “quello che le donne non dicono” di Enrico Ruggeri, sino ad approdare a quello che sia lei che tutti consideriamo l’autore che l’ha scolpita meglio negli anni: Ivano Fossati. E poi, ancora: Claudio Baglioni, Renato Zero, Lucio Dalla, Luciano Ligabue, Vasco Rossi, Massimo Bubola, Nicolò Fabi. Fiorella, l’ho detto più volte, sarebbe capace di cantare anche l’elenco delle pagine gialle e di cantarlo bene, riuscendo a regalare l’anima anch e ai cognomi. E’ fatta così: dolcemente complicata, ma sempre più emozionata, la troverai sempre per sempre nella parte dove è sempre stata: donna, sorella, amante e madre. Fiorella è tutto. Una grandissima persona che sa giocare e sa interpretare le parole degli altri. Perché di questo si tratta: una cover è sempre un grosso impegno e troverete sempre il purista che storce il naso perché ama l’originale. Con Fiorella questo non accade. Non può accadere alla più grande interprete della canzone italiana di questi tempi (la ritengo più brava dell’inavvicinabile Mina). Fiorella cammina sulle parole, le abbraccia, le modula, le restituisce con la giusta passione. Danza anche quando non si muove. E’ l’equilibrista del gusto. Fa piacere sentirla abbassare la voce, abbracciare il senso delle cose, interpretare canzoni difficili, quasi inarrivabili o giocare a fare la finta smorfiosa in pezzi mirabili come “Messico e nuvole” e “Vieni via con me”. Fiorella ha avuto tutto il meglio da Ivano Fossati e, sotto alcuni aspetti da Francesco De Gregori con il quale, probabilmente il rapporto si è raffreddato. (ha cantato solo “sempre per sempre” senza citare neppure l’autore) ma anche altri autori hanno regalato pezzi di diamanti grezzi che lei e solo lei ha scolpito in maniera originale e fatti diventare “unici”. E’ l’unica interprete che supera l’originale. Chi c’era ieri sera si è reso subito conto cosa significa saper cantare, saper modulare le parole e i gesti. Anche Lucio Dalla, da lassù, avrà sicuramente apprezzato. Fiorella è unica, è bella, è brava, è umile e conosce il peso delle emozioni. Questo ieri ha restituito a chi è andato ad incontrarla tra un palco gonfio di parole e di musica e persone desiderose di godere della bellezza che una canzone riesce a dare. Fiorella Mannoia questo canta e lo sa cantare. Chiudete gli occhi e ascoltate: “Dicono che c’è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare io dico che c’era un tempo sognato che bisognava sognare”. Lo dice e lo canta anche Ivano Fossati (la canzone è, infatti la sua) e lo canta benissimo. Ma Fiorella, per me lo canta con altri colori: quelli che disegnano strade verso un infinito che bisogna sognare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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