Ha riposto le sue affermazioni su peli, estetiste e depilazione nel museo delle cerette ed è tornata. È tornata per indietreggiare e, secondo lei, rimediare agli errori del passato.
Eppure lo diceva anche Victor Hugo che quando il destino apre una porta, ne chiude un’altra e, fatti certi passi avanti, non è possibile retrocedere.
Ma lei è tornata con un’analisi in puro PD style, dove non esiste il mea culpa ma il vestra culpa, semmai. Dove la responsabilità è sempre degli altri. Dove un fallimento non è una sconfitta, ma una “non vittoria”. Dove il torto, quando non si riesce ad attribuirlo agli avversari, lo si scarica addosso ai compagni di partito.
Il suo primo j’accuse va a Renzi: squisito flashback di quando era la portavoce di Bersani ed affermava “Renzi assomiglia a Berlusconi, eccentrico e maschilista”. Ma poi, non appena l’eccentrico maschilista l’aveva scelta nella cinquina di donne a far da capolista alle europee, aveva nascosto le aspre critiche ed aveva cominciato a camminare aggrappata a lui, fischiettando e con le mani in tasca.
Il secondo j’accuse va agli organizzatori della campagna elettorale: colpevoli di aver attribuito la stessa importanza sia ai residenti dei paesini sia a quelli del Comune capoluogo di provincia. Evidentemente per la Moretti il voto dei cugini di campagna ha un peso specifico inferiore rispetto a quello dei cittadini.
Il terzo j’accuse alla sobrietà del look impostole: “mi hanno fatta vestire come un ferrotranviere” aggiunge sdegnata, come se gli elettori si debbano sedurre e non convincere.
Non è uscita dalla sua boccuccia, come ci si aspetterebbe, una parola sui contenuti, sulla troppa e devastante superbia, sulla pruriginosa saccenteria o i dubbi circa le competenze esibite. Nulla di tutto questo,
Ritiene invece necessario riesumare ladylike, con buona pace delle donne del PD che guardavano con orrore la Carfagna e tutta la femminile corte berlusconiana.
Ora la Moretti si appresta a disseppellire la ladylike, con la tronfia sicumera che ha caratterizzato il suo agire, perché in effetti è l’unica cosa che le resta: il mea culpa è roba per gente di sinistra. Quella vera, però.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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