Mi hanno telefonato per invitarmi alla festa campestre di Santu Jacu.
No, non è esatto: mi hanno telefonato perché questa del 2014 sarà la centesima festa campestre di Santu Jacu. La fanno da cento anni, da cento anni i comitati passano di padre in figlio ed in nipote. Giovani e vecchi di San Giacomo vogliono che si sappia. Il 13 e il 14 settembre sarà una cosa fastosa: no, niente fuochi d’artificio, ma la solennità di una processione a cavallo, tanto per dirne una.
Da un secolo le cuoche più abili vengono ingaggiate per preparare il pasto. Non tutte sanno cucinare per un migliaio di persone senza che neppure un maccherone arrivi scotto tra i denti di uno solo dei commensali. Gavina e Maria, fuoriclasse dei paioli, ci riescono.
Noi galluresi andiamo molto orgogliosi delle nostre feste campestri. Ci si riunisce attorno alla chiesa di campagna, tra le tanche, la si cinge di panche e tavolacci. Si installano anche i camion bar e gli ambulanti, persino cinesi, senegalesi e marocchini.
Per due giorni si prega e mangia assieme, senza selezioni all’ingresso o distinzioni di censo.
Lu dimmandoni, l’accattone, accanto al proprietario terriero o all’onorevole che accarezza con promesse la sua clientela.
A parte l’onorevole, si ringrazia anche il vero santo protettore.
Lo si ringrazia anche se l’ultima stagione delle piogge ha massacrato la terra, lasciando tra le pietraie spaccature capaci di inghiottire una persona. Anche se grandine e vento hanno picchiato a morte orti e vigne. Da cento anni funziona così.
San Giacomo è un posto in mezzo ai graniti tra i Comuni di Olbia, Sant’Antonio di Gallura ed Arzachena. La festa serve a rinnovare lo spirito della comunità, a ricordare a tutti che esiste, seppure sperduta tra i monti.
Eppure non è di questo che volevo parlarvi, non solo di questo.
Mentre la comunità della cussoghja grida al mondo la sua esistenza, mostra che nulla è cambiato e la vita vince, il paesaggio attorno a lei si sgretola.
Se viaggiate sulla statale 125 da Olbia ad Arzachena, subito dopo lo scollinamento di Casagliana, fate caso al quadro di fronte a voi: la linea frastagliata del paesaggio oltre il parabrezza, fin dove gli occhi vi permettono di arrivare, sono le alture di San Giacomo.
Ho sempre pensato che, da quando esiste tempo, quel paesaggio sia rimasto fisso ed immutabile. Che i miei occhi, guardando in quella direzione, vedano oggi quel che mille o duemila anni fa vedeva un solitario camminatore. Mi sono sempre illuso di poter condividere lo stesso orizzonte con chi abbia calcato quella stessa terra, mille o duemila anni fa. Invece no. Perché se ci state attenti, due delle vette di granito sono state cancellate dall’esplosivo. Ci hanno aperto una cava, poi un’altra ancora. Una delle due ditte è fallita e ha lasciato quella guglia orribilmente spuntata, senza neppure riuscire a concludere la demolizione. Che forse sarebbe stato anche meglio, se avesse appiattito del tutto quella linea del mondo.
Eppure quello doveva essere un sito di interesse comunitario, perciò protetto. Chiacchiere, fantasie di burocrati, tutele del cazzo senza alcun potere.
Quando aprirono la prima cava e il silenzio della campagna venne violato per sempre, una quindicina d’anni fa, un giovanotto al suo esordio in politica usò quella violenza come trampolino per la campagna elettorale. Aveva molto parenti da quelle parti e giurò che si sarebbe battuto come un leone per far tacere la dinamite e salvare le montagne di San Giacomo. Alla sua seconda campagna elettorale, ormai appagato, gli telefonai per ricordargli la promessa. Rispose che non voleva grattacapi e io non aggiunsi altro.
A San Giacomo faranno una festa magnifica. Anche se il mondo tutt’attorno crolla, ridotto in blocchi di granito. Hanno demolito un paesaggio, il filo della storia che univa le mie pupille a quelle di colui che scendeva dal colle di Casagliana, mille o duemila anni fa. “Ma nel tuo articolo parla più della festa che di queste cose brutte” mi raccomanda, salutandomi, l’amico che mi ha invitato. È festa, bisogna esser lieti.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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