Giugno. Collegio finale dell’anno e dell’intera carriera di Elio e Graziano, rispettivamente tecnico di laboratorio e collaboratore scolastico. Due istituzioni della nostra scuola, un secolo di gloriosa carriera in due. Colleghi in ghingheri, tagli freschi di parrucchiere, noiose relazioni dei Collaboratori, analisi degli scrutini, riflessioni sull’anno scolastico appena trascorso. Soltanto una settimana prima alcuni di noi avevano discusso gli stessi argomenti in Consiglio d’Istituto. Naturalmente lì avevano assunto un significato diverso. Per esempio, era stato necessario chiudere qualche servizio per pagare gli insegnanti dei corsi di recupero, ma questa era la scuola italiana, ormai. Questione di tagli. E purtroppo ci stavamo abituando. Qui, invece, si era al Collegio, e tutto era più soft. Il Collegio dei docenti, tra gli organi collegiali della scuola, è quello che ha la responsabilità dell’impostazione didattico-educativa, e il resto viene come rimosso, quasi si voglia godere, per una volta, della purezza originaria del ruolo dell’insegnante, pesantemente messo in crisi negli ultimi tempi da incombenze lontane anni luce dalle competenze per cui migliaia di docenti hanno studiato per lustri. Nei giorni precedenti, però, si era sparsa un’inquietante notizia, e qualcosa si era scosso nell’imperturbabile clima pre-estivo del Collegio. Il nuovo Ministro, con prevedibile tempismo (che poi queste notizie escono sempre d’estate, quando i poveri docenti tirano un sospiro di sollievo e smettono per un attimo di interessarsi alle cose del mondo che li circonda), aveva gettato sul piatto le solite minacce circa l’aumento di ore nell’orario lavorativo e d’estate, a stipendio fermo, naturalmente. Le reazioni erano state dignitose ma indignate. C’era troppo caldo e non valeva la pena di sprecare energie per quella che si sarebbe potuta poi rivelare soltanto una provocazione. Mi guardo attorno. Il parterre del Collegio è disposto secondo geometrie che confermano un bisogno di sicurezza altrimenti negato. C’è il collega di matematica, quello d’inglese, tutti e due in prima fila, e la collega d’inglese del corso B, coraggiosa Cobas, dall’altra parte del parterre, che si mantiene pronta per un focoso intervento che confermi anche lei nel suo ruolo consueto. Il collega di fisica, e quello d’italiano del corso B, stanno sufficientemente defilati in secondo piano. Tutti gli altri, anche se non è necessario, giocano a nascondersi come sempre dietro un quotidiano o un improvvisato paio di occhiali da sole. Tutti attori avanti negli anni, sicuri nella propria parte, quasi legati a un ruolo precostituito. Niente più visi adolescenziali, qui si parla dei ragazzi soltanto in teoria, si definiscono gli obiettivi, si studiano i metodi, si tracciano le prove di verifica attraverso le quali gli studenti saranno valutati idonei. Eppure, anche qui, la presenza degli alunni si sente e la collega di Religione lo ricorda nella sua breve relazione sui bisogni educativi degli studenti. È la scuola. Ma è soltanto un attimo, perché subito si torna ai bilanci più asettici di un anno che già non c’è più. E allora si dorme. Si sogna il mare. Si assiste, impassibili, alle premiazioni dei colleghi e dei tecnici più meritevoli. La campanella suona puntuale, ma è soltanto un’illusione, perché di lì a poco ci sarà una coda di questo sacro rito di fine anno. Due prestigiosi colleghi andranno in pensione e la festa è d’obbligo. Ci sarà persino il buffet, e qui i collaboratori scolastici vivono il loro giorno di gloria. Dalla mattina presto spostano banchi, selezionano sedie, dispongono fiori, impongono orari che fanno a pugni con l’avanzare impetuoso della fame dei docenti. I corridoi sono lustri e i tavolini, addobbati con pizzi e merletti, poco hanno a che fare con quei luoghi connotati generalmente da inseguimenti, battibecchi e provvedimenti disciplinari. Dopo un primo attimo di giustificato smarrimento ci si siede incerti sulle sedie stipate intorno ai tavoli. Ci si guarda in faccia, attendendo soltanto un segnale che dia il via all’assedio del buffet. All’orizzonte Graziano scuote un braccio e tutti, trafelati, corriamo nella Sala professori apparecchiata per l’occasione, dove mi si para davanti un’inestricabile muraglia umana. Allora mi ricordo che sono sempre stato una frana ai buffet, forse a causa del mio atteggiamento riflessivo, poco adatto a questo genere di riti, e così, se mi voglio nutrire, mi devo accontentare di una coppa di fragole e panna che giace ancora immacolata su un banchetto più piccolo. Un attimo dopo mi giro, e sul tavolo ormai semivuoto scorgo soltanto un ricordo del prodigioso menu architettato dalla Segretaria. Selezione di salumi e formaggi sardi, pizzette fritte, frittatine di pasta con gorgonzola e mascarpone, crocchette di zucchine e ricotta, carpacci di pesce spada marinato agli agrumi… E spumante, spumante dappertutto, affidato alla mescita di Elio e dei tronfi tecnici, anch’essi orgogliosi oltre misura per un compito che li distingua dalla massa informe dei docenti. Improvvisamente ci rendiamo conto che il cibo non rappresenta più il fulcro del banchetto, e allora ci si siede stancamente sulle sedie ormai confuse tra un tavolo e l’altro. Ma non è finita. La sadica regia che ha tracciato lo svolgersi di questa innaturale giornata di fine giugno, ha previsto persino la presenza di una banda, naturalmente formata da docenti che rinascono a loro volta nel ricordo della loro giovinezza trascorsa tra chitarre, bassi, batterie e tastiere. È troppo, soprattutto per chi ormai da anni ha abbandonato qualsiasi ambizione di natura vagamente artistica. Ma in breve, l’intero corpo docente è attraversato fin nell’intimo da una colonna sonora che lo ha visto conoscere i più intensi piaceri, dai primi innamoramenti al profilarsi di una vita futura che forse si immaginava più travolgente. E ci si butta malinconicamente nelle danze, ispirati dalla frizzante orchestrina, le colleghe che si scatenano al ritmo del geghegè e i maschietti, timidi oltre misura nelle loro ingombranti polo professionali, che assistono, rigidi, non andando oltre la squallida battuta d’occasione. È allora che mi accorgo di quanto i miei alunni siano molto più spontanei, e tutti forse se ne rendono comunque conto, nascondendosi dietro la finzione di uno spettacolo che attinge più ai ricordi che al triste presente. Il repertorio è scarno, e presto si rimane anche senza più musica. Il Collegio è finito, e con esso un anno che soltanto apparentemente era sembrato diverso dagli altri. Qualcuno comincia a tornare a casa, dalle proprie famiglie. Al tavolo vicino al mio, dove siedo ancora con il collega di Diritto, qualcuno si pone domande chiaramente fuori luogo. “ Cosa faremo l’anno prossimo?… pare che l’Organico tenga… quasi quasi stavolta mi prendo la Quinta “, ma io cerco di sottrarmi a questo squallido gioco autoreferenziale. “Non so. Dipenderà anche dagli alunni”, provo a buttare lì, ma ne sono comunque convinto. In fondo non ha senso pensare la scuola senza gli alunni, e anche in un giorno come quello voglio rimanere fedele alle mie convinzioni. Intanto fuori il vento muove un cumulo di bicchieri vuoti, stelle filanti e sogni infantili. Un carosello finale, un rondò, che forse si ripeterà anche l’anno prossimo.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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