Quando vien la sera… (fischio) vieni… vieni… Son qua, son qua, son qua Tutto per te!
Cosa ne dite?, Sballo puro, vero? Questa era la roba che cantavo io a otto o nove anni. Mio nonno mi prendeva in giro e mi diceva che la lucina verde della radio, cioè la spia del sintonizzatore, se ci attaccavi l’occhio ci vedevi la figura di chi cantava. In realtà ero io a prenderlo in giro perché per farlo contento fingevo di crederci. Così pensavo. Perché ero così pieno di sogni che appena finivo di strizzare l’occhio a mia nonna, “Quanto è scemo tuo marito, ma per chi mi prende?”, ci credevo davvero. E attaccavo l’occhio alla lucina e ci vedevo Joe Sentieri che cantava “Quando vien la sera” e faceva il saltello. Uno può legittimamente dire: e perché non te lo guardavi più agevolmente alla televisione? L’apparecchio ce l’avevamo, in effetti, anche se in bianco e nero e di quelli che prima di “riscaldare” e mettersi in moto veniva l’ora di andare a letto. Il fatto è che la tv era ancora roba da rituale. Non si accendeva a tutte le ore, anche perché per la maggior parte della giornata trasmetteva solo il monoscopio. E poi bisognava aspettare la famiglia riunita e roba del genere. La radio era più sportiva, sempre un ingombrante falansterio anch’esso dai tempi di accensione lunghissimi, sia chiaro, tuttavia accessibile anche a me bambino e in ogni momento. Ne parlo oggi nell’Agenda perché Joe Sentieri è nato il 3 marzo del 1925. Ma di questo non gliene frega niente a nessuno. Perché la sua vera data di nascita è il 1959 con la partecipazione al Festival del Musichiere all’Arena di Verona. Nello stesso anno vinse Canzonissima con “Piove” di Modugno e nel Sessanta, tra Sanremo e altre manifestazioni, lanciò “E’ mezzanotte” e “Quando vien a sera”. I suoi climax erano certi acuti che accompagnava con un saltello. Si dice che l’avesse scoperto come cantante da bar nelle navi da crociera durante un temporale che aveva quasi coricato il piroscafo mentre lui aveva il microfono in mano. E per non cadere faccia a terra aveva fatto quel saltello che deliziò il pubblico. Mah, mi sa un po’ di leggenda. Comunque quel saltello era trasgressivo da matti nel nillapizzismo dell’epoca. Era un po’ come se ora uno si mettesse a ruttare. E figuratevi quanto la cosa piacesse a noi bambini che avevamo le nostre immature balle rotte da vari Claudio Villa, Luciano Tajoli e Achille Togliani. La rivoluzione vera fu Modugno con “Nel blu” che volò a Sanremo. E poi c’era anche Fred Buscaglione, che mi faceva impazzire. Anche adesso, a dire la verità. Ma la truppa d’assalto erano gli “urlatori”, che furono la mia musica dagli ultimi anni delle elementari sino ai primi delle scuole medie. Il capitano era Joe Sentieri, ma c’era anche Tony Dallara con “Ti dirò” (anzi Ti di singhiozzo rò) e “Ghiaccio bollente”, per non parlare di Little Tony e Betty Curtis. E anche gente tipo Mina, Gaber e Celentano che da semplici “urlatori” sono poi diventati icone della canzone italiana. Poi arrivarono gli anni Sessanta pieni, con i film “musicarelli”, come “Urlatori alla sbarra”, o “Non son degno di te”, che erano di uno spasso unico. Ma l’ho scoperto ora che sono vecchio e me ne capita qualcuno. Ma quando arrivarono, io ero già un giovanottino e non andavo a vederli. Il momento magico, il momento dell’occhio magico della radio in cui vedevo Joe Sentieri, fu quindi quello a cavallo tra i due decenni della mia infanzia. Gli anni del boom. Che io non avevo la minima idea di che cosa fosse, ma Joe e il suo saltello me ne comunicarono misteriosamente tutta la felicità.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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