La bicicletta era la formula uno dei giovani di allora. Avevo imparato ad andarci con quella di un mio compagno di scuola soprannominato Gigi Salame per via della voracità con cui divorava panini imbotti con l’affettato. Aveva un graziella blu e qualche volta mi concedeva di fare un giro. Mi rimane ancora impressa la vittoria di Eddy Merckx al giro di Sardegna. Lui, quell’anno, vinse anche la tappa della nostra città, Alghero: quattordici giri tra la periferia e la passeggiata sul mare. C’eravamo andati con zio Vittorio, fratello di mia madre, tifosissimo del fuoriclasse, in quanto emigrato in Belgio. Ogni volta che passava vicino alla Torre sul mare – dove noi eravamo ben sistemati – lo incitava: Alè, alè, a gagner, a gagner e pure io, per interposta persona, abbandonai Gimondi e tifai per Merckx ma solo per quella corsa e solo in onore dello zio divenuto quasi fiammingo. I ciclisti erano una favola silenziosa. Correvano compatti e colorati e dalle auto al loro seguito venivano gettati i cappellini. Riuscimmo ad acciuffarne uno e, se non ricordo male era della Salvarani. Ci facemmo subito una fotografia io e lo zio. Lui con il sigaro in bocca che continuava ad incitare: “a gagner, a gagner.” Ho amato molto Gimondi. Quel suo essere silenzioso, quasi come il vento che cammina vicino alla tua bicicletta, quel silenzio colorato che ti accompagna nelle salite, quando pensi di mollare tutto, di non farcela, di abbandonare. Da quelle parti usciva Gimondi, con quella pedalata forte, risoluta, incisiva. Usciva e non si guardava indietro. Tanto lo sapeva che dietro c’era “quello là”, il nemico sulla tua strada, il cannibale. Non si guardava indietro perché era da un’altra parte la soluzione: poter essere almeno una ruota davanti a tutti. Per vincere e convincere. Lui è stato un eroe della mia infanzia. Mi rendo conto che tutte le icone cominciano a spegnersi. Probabilmente son diventato grande. Son passati Mohamed Alì e Pantani, Scirea e Radice, anche Nenè mi ha abbandonato. E adesso Gimondi, quello per il quale ho amato la bicicletta. Solo una volta l’ho tradito. Per colpa di mio zio. Ma era un gioco. Così da quella curva dove ti sei infilato ti dico: non voltarti Felice, non farlo. Ancora una pedalata, una soltanto. Lui, quello là, non c’è e oggi ha perso. E ha anche pianto. Perché i campioni, quelli veri, sanno osare e sanno abbracciare gli avversari. E gli amici.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
16marzo1978: il giorno in cui persi l’innocenza. (di Giampaolo Cassitta)
Cutolo e l’Asinara (di Giampaolo Cassitta)
Gatti, amore e carabinieri. (di Giampaolo Cassitta)
Buon compleanno Principe! (di Giampaolo Cassitta)
Hanno vinto davvero i Maneskin! (di Giampaolo Cassitta)
Break news: Fedez e Francesca Michielin vincono il Festival di Sanremo.
Grazie dei fior. (di Giampaolo Cassitta)
Hanno vinto i Maneskin. Anzi, no. (di Giampaolo Cassitta)
Capri d’agosto (di Roberta Pietrasanta)
Il caporalato, il caporale e i protettori (di Mimmia Fresu)
Marshmallow alla dopamina (di Rossella Dettori)
377 paesi vivibili (di Roberto Virdis)
Per i capelli che portiam (di Mimmia Fresu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 17.622 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design