In Italia si è consolidata l’idea di senso comune che combattenti della RSI e partigiani siano attori equiparabili dentro una guerra civile. Qui non voglio discutere delle questioni di natura etica riguardanti la dittatura, la repressione, le guerre coloniali, gli assassini politici e via dicendo. Voglio sottolineare un semplice e banale dato storico: la Repubblica di Salò fu un tradimento della patria. I fascisti (e i criptofascisti) affermano comunemente che l’adesione di tanti giovani alla Repubblica sociale italiana fu un atto di fedeltà alla patria, di amore dell’Italia o addirittura una scelta di natura ideale e romantica. Per fare questa affermazione devono però costruire una serie di menzogne: la prima è considerare che la fedeltà a Mussolini e alla alleanza con Hitler, coincida con la fedeltà alla Patria. Qui sta la prima menzogna e il fondamentale tradimento dei fascisti. Confondere un leader di un partito (PNF) con la Patria è prima di tutto un errore logico. In secondo luogo, mette in luce che il presunto ideale per il quale avrebbero combattuto i fascisti della RSI, cioè la Patria, sia un ideale in realtà di natura incerta. La definizione di Patria finisce infatti per coincidere con una certa idea di patria, di nazione e di stato. Si tratta anche di un problema culturale, infatti questi concetti non coincidono necessariamente: nazione e stato non sono necessariamente la stessa cosa e nella storia dell’uomo raramente hanno coinciso. Non si può certamente chiedere a un fascista di comprendere delle differenze così sottili: in che senso, per esempio, un fascista sardo si può considerare patriota italiano pur appartenendo a un popolo etnicamente, storicamente, linguisticamente (e anche geneticamente) differente? Nel corso degli ultimi decenni abbiamo sentito i fascisti italiani parlare di “Europa Nazione”, contraddicendo dunque gli ideali di Nazione per i quali hanno condotto le carneficine di settanta anni fa. L’idea di nazione dunque cambia, così come quella di stato. Sarebbe bene dunque non confondere l’idea con la realtà. Veniamo al tradimento dei repubblichini. Benito Mussolini deteneva i pieni poteri, avendogli il Re delegato tutto il potere e avendo svuotato l’istituzione monarchica delle prerogative statutarie. Fatto sta però che lo Stato (il Regno d’Italia) si fondava su una carta: lo Statuto Albertino. E questa carta rimaneva alla base dello Stato. Quindi nonostante Mussolini avesse pieni poteri sul PNF e sullo Stato, Mussolini non era lo Stato. Il 25 Luglio 1943, l’Italia stava già perdendo la guerra. La Sicilia stava per essere invasa. Il Re e ottenne la riunione del Gran Consiglio del Fascismo, che destituì Mussolini. Ora i fascisti italiani rimasti fedeli a Mussolini considerano questo atto come un tradimento. Questo è possibile perché ritengono che la patria coincida con il loro leader. E questo è già tradimento. Su questa base poi giustificano il loro tradimento fondamentale. Mussolini durante la riunione rivendica la necessità di rimanere fedele all’alleato tedesco, pacta sunt servanda. Su questo punto ci fu lo scontro con Ciano. Questo passaggio mi sembra fondamentale: per Mussolini la fedeltà fondamentalmente non fu verso la patria, ma verso il suo alleato. Il tradimento di Mussolini e dei repubblichini si può sintetizzare in questo passaggio. L’applicazione dello Statuto Albertino permise al Gran Consiglio del Fascismo di attribuire al Re le sue prerogative, togliendo a Mussolini le deleghe. Dal momento in cui fu destituito da capo del governo e delle forze armate, Mussolini era un privato cittadino. Non rappresentava né lo Stato, né la Patria. La fedeltà a Mussolini, comunque la si giri fu un tradimento della patria. Gli interessi e le alleanze dello stato non le decidono i privati cittadini, animati da ideali patriottici totalmente confusi. A partire, dalla fuga di Mussolini, iniziò una guerra contro gli italiani e l’esercito ufficiale. I tedeschi diventarono i padroni. E i repubblichini i loro miserabili camerieri. Ammesso pure che questi fossero animati da sentimenti patriottici, la loro scelta si configura come un tradimento di natura ideale, politica e militare. E per gente che se ne andava in giro gridando “viva la morte”, la morte doveva essere l’unica possibilità di redenzione. Sotto questo aspetto ogni tentativo di equiparazione tra repubblichini e partigiani non è altro che la reiterazione di quel tradimento originario perpetrato da Mussolini e dai suoi seguaci ed è uno sfregio a quell’ideale di patria che i fascisti millantano di sostenere. Da 70 anni fascisti e criptofascisti piagnucolano per le vendette che si protrassero nel corso dei mesi successivi al 25 aprile.
Per gente che invocava la morte, è per lo meno curioso che continuino a piagnucolare per il fatto che la morte è arrivata anche per loro. Non solo traditori, anche vigliacchi.
Marco Pitzalis è nato a Cagliari nel novembre del 1963. In quel momento, tutto il mondo stava pensando alla morte del Presidente Kennedy. Per questa ragione, la nascita di Pitzalis è passata inosservata. Passarono i decenni, e ogni momento della sua vita fu oscurato, continuamente, dalla coincidenza con grandi eventi storici. Oggi, la sua presenza al mondo è rimarcata, solamente, da un manipolo di devoti studenti.
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