Se allo stadio vengono esposti manifesti razzisti o se si levano i “buuuuuuu” dalle tribune ogni volta che un giocatore di colore tocca la palla, le norme previste dalle autorità sportive prevedono la sospensione della partita, sanzioni per i responsabili e chiusura per un certo periodo dello stadio stesso. Spiegatemi, ora, perché non dovrebbe essere applicato lo stesso principio e perché non dovrebbero essere previste sanzioni se lo stesso razzismo viene strillato nei titoli di certi giornali, di cui in questi giorni abbiamo avuto miserabile dimostrazione. Spiegatemi perché non si dovrebbe sospendere la pubblicazione di un quotidiano per un certo numero di giorni, se quel quotidiano scrive che i neri – testuale – portano malattie senza un minimo di prova scientifica, ponendosi in aperto contrasto con il principio cardine della nostra Costituzione che respinge ogni forma di discriminazione razziale. Nessuno dice mai che un giornale debba essere sanzionato con un periodo di chiusura perché, se qualcuno lo dicesse, verrebbe accusato di repressione fascista, di voler imporre un controllo politico sulla libera stampa e di impedire la libera circolazione delle idee. Accusa paradossale, che ci dimostra come i luoghi comuni non facciano altro che atrofizzare il pensiero. In realtà, il fascismo strisciante della nostra società trova sfogo, forme di legittimazione e manifestazione proprio in quei titoli di giornali. Ho letto, alcuni giorni fa, il post di un mio amico, docente universitario, che nella sostanza sosteneva che fossero proprio alcuni giornali a volere un nuovo fascismo. Credo abbia ragione. E l’evidenza sta proprio in questa nuova valanga di titoli razzisti, che in modo sempre più esplicito rappresentano una realtà fatta di razze superiori e civilizzate e di altre inferiori e nocive. Non era forse il manifesto della razza uno dei capisaldi del fascismo? Non sono forse certi titoli un tentativo di restaurazione di quelle idee, sconfitte dal buon senso prima che dalla storia? Non mi costringete a ricordare che il fascismo non è un’opinione ma un reato, almeno finché varrà questa Costituzione. Allora, si abbia il coraggio di fare per certi titoli di giornale quel che si fa con gli stadi e i tifosi, quando vengono esposti striscioni razzisti. I giornalisti – per inciso, io lo sono – godono di una forma di impunità perché vengono considerati fattori fondamentali per una democrazia e sono protetti dalla loro reputazione di intellettuali, mentre le curve degli stadi si ritengono popolate da rifiuti sociali con i quali l’unico linguaggio possibile è la repressione. Invece, nelle redazioni dei giornali trovate un sacco di gente che usa modi e linguaggio da ultrà. Trovate direttori che orgogliosamente affermano di non andare in Sicilia perché troppo a sud, giusto per chiarire di non avere alcun interesse umano per i migranti e per l’Africa. Andrebbe aperto un dibattito serio su costi e benefici per la democrazia della componente giornali. Ripeto, io sono un giornalista. Ma da qualche anno mi chiedo quanto serva all’emancipazione del cittadino questo giornalismo delle generalizzazioni, dei titoli forzati, tutto teso a estorcere attenzione strillando sensazione. Il paradosso è che, per il solo chiedermelo, verrei accusato di fascismo da chi il fascismo lo pratica.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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