Quando qualcuno afferma che un fascismo latente serpeggia nella nostra società, difficilmente gli si concede credito. Ma il fascismo sta in certe sfumature, non solo nel luogo comune dell’uomo forte al comando. Prendiamo la condizione femminile. Miriam Mafai, Pane Nero, pagina 36: “Io non auspico – scrive la “Critica fascista” – un ritorno alla schiavitù femminile ma soltanto, e il Fascismo anche qui ha la forza per poterlo fare, un freno alla esagerata libertà di cui godono oggidì le donne: fra i due sessi non può esistere parità di diritti perché c’è squilibrio di doveri e la natura stessa ha dato alla donna compiti e funzioni diversi da quelli che ha dato all’uomo. Tornino dunque le donne, e tocca a voi sospingerle ed obbligarle, signori uomini, al loro posto e non prendano atteggiamenti e non usurpino mansioni che non si addicono al loro sesso, ed anche la famiglia ne guadagnerà”. (Critica fascista era il periodico fondato da Giuseppe Bottai, già ministro di Mussolini). Un’idea di donna che mi ha ricordato alcune considerazioni sentite tempo fa dalla emancipatissima Daniela Santanché: sosteneva certi obblighi della donna nel vestiario, sul suo dovere di essere sensuale e di indossare abiti di un certo tipo per rispettare la sua “vocazione femminile”. Oppure un libro biblicamente intitolato “Sposati e sii sottomessa” nel quale si sostiene la subordinazione della donna all’uomo. Lo ha scritto una giornalista della Rai, è stato tradotto in molte lingue e accolto da critiche entusiastiche della stampa di destra. Il fascismo vedeva la donna sostanzialmente come una fattrice: doveva stare a casa e far figli, per alimentare il progetto della forza demografica nazionale. Brutalmente: doveva stare al suo posto. Oggi quasi nessuno si azzarda a relegarla in quello sgabuzzino sociale, ma ancora in troppi la vedono esclusivamente come stampella dell’uomo. Anche questo è fascismo. Alle donne che dal fascismo sono affascinate consiglio di leggere il saggio della Mafai, un vivace spaccato sulla condizione femminile nel Ventennio. Scritto trent’anni fa, ma attualissimo. Alcune potrebbero cambiare idea, altre potrebbero riconoscersi nella condizione in cui si sono volontariamente autorecluse.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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