A Piazza Castello c’è un’ora che non è né carne né pesce. Gli ultimi passano in fretta e posano ordinati sulla panchina la cornice della pizzetta e la lattina vuota. E Pianu di Castheddu è vuoto, con le mille finestre dei grattacieli nere nere e Crispo e Bargone fatti a portici che ti vogliono portare alla grande spianata con il re in piedi ma ora non c’è nessuno a dare retta. La Caserma fa la faccia da ufficiale savoiardo ma è un biscotto secco e non basta la scopa infilata su per il culo a farla sembrare ancora un arnese da guerra. Ritroverà anima quando ci porteranno gli studenti dell’università. E a quest’ora qui ci sono i fantasmi. Il primo che ho visto, l’altra notte, è stato quello della sentinella di quando ero bambino. Allora c’erano ancora i soldati e c’era la garitta di cemento con coscritto e moschetto che potevano muoversi soltanto per salutare i superiori, quando ne passava uno. Ma lui, la mia sentinella, ogni tanto trasgrediva la consegna per tentare di allungare un calcio in culo ai ragazzini che lo provocavano con impegno costante -Oh militare, e chissu fusiri da Mariu lu Franzesu l’ai cumparadu? Mariu lu Franzesu era il più chip dei venditori di giocattoli e merci varie. Un po’ come adesso quando vai dai cinesi. Aveva la bottega davanti all’Upim Vecchio. Alle Demolizioni. Ma non potevamo andarci perché non avevamo i soldi neppure per roba a barattu. Comunque sbucavamo come lucertole verso la sentinella da dietro certe grandi scatole di cemento e lamiera che allora costellavano piazza Castello. Nelle baracche provvisorie c’erano il ferramenta, il tabacchino e gli altri negozi che erano stati sfrattati perché occupavano i palazzi antichi che bisognava demolirli per fare il Grattacielo Nuovo. Il primo che ne hanno buttato, dai cantoni crepati ne sono uscite miliardi di cadarane abbacinate in un fiume nero che scorreva pazzo verso la caserma per cercare riparo dalla luce improvvisa. E i soldati tutti in fila che le respingevano con le scope di saggina e seguivano spazzando blatte il ritmo dell’ufficiale -‘no duè, ‘no duè, serrare ranghi a destraaa, ‘no duè, ‘no duè… Mi è dispiaciuto, l’altra notte, vedere la mia sentinella nella garitta anche quella fantasma. -Ma quindi lei è morto? -Eh sì, burtroppo. (Era meridionale, in Sardegna solo per la naja). Gualche aldro annedo vivo me lo sarei vatto… Ma… du sei uno di guelli che venivano a rombermi i goglioni? -Sì. Per dargli soddisfazione ho mentito -Sa, una volta lei riuscì a darmi un discreto calcio in culo. Ha fatto un sorriso malinconico -Non dire balle. In dutta la naja non sono mai riuscido a beccarne uno, di voi. Mi sono commosso, gli ho mostrato la schiena -Se vuole…le prometto che non fuggo. -No grazie, droppo dardi. E boi lei ora è un vecchio e io sono un mordo. Non sarebbe dignidoso. Insomma, mentre parliamo così lui a un tratto si irrigidisce sull’attenti e fa il presentat-arm col fucile. E chi c’è? Mi giro e li vedo che escono dai portici del Grattacielo Vecchio, dove il negozio di Griscenko è tornato a vivere e si sente il cinguettio dell’uccellino della Rai perché stanno facendo le prove di ricezione del segnale da Milano e da Roma. Da quelle parti quindi è il 1954, quando la televisione arriva anche a Sassari. Ma Julia è una strega di Siligo condannata nel Castello alla fine del sedicesimo secolo, quando qui c’era l’Inquisizione. L’autodafé, cioè l’umiliazione pubblica che loro chiamavano atto di fede anche quando bruciavano carne cristiana, i domenicani gliel’avevano fatto fare lì, in fondo a Largo Cavallotti, in piazza Azuni, dove ora c’è il cartiglio malinconico del grande Ademaro Rossetti che chiude i battenti ma allora c’era la chiesa di Santa Caterina, che l’hanno demolita, anche lei, come il Castello. Ed Enrico Costa che cosa ci fa? E’ uno dell’Ottocento, che il Novecento lo ha visitato solo per una manciata di anni prima di morire. E Salvator Ruju, poi? Morto già una cinquantina d’anni fa. E poi ci sono io, in questa notte un po’ strana, che non è notte e non è giorno. Che la tv me la guardo da internet e quei tre li conosco solo dai libri. Che casino! Lei è bella. Fa paura da quanto è bella. Ma se ne fotte. Si vede che se ne fotte. Veste una camiciola bianca e una lunga gonna nera da cui sbucano i piedini scalzi. Ha gli occhi furbi e ingenui. E guarda i due che l’accompagnano. Il più alto è Salvator Ruju, cabu izzuffiadu, tuttu isthruncadu… dinoccolato mi’!, con la giacca elegante ma le tasche sformate dai libri. E guarda Julia con l’aria di pensare -Cantu mi piazi a me chista isthrea fantasima! E anche Enrico Costa ci ha gli occhi un pochettino porcaccioni. Si vede che se la corrono, quei due. Costa è più bassottino ma è dritto e impettito, elegante nella giubba fine Ottocento a quattro bottoni, un papillon bianco e un bacolo nero dal pomo di avorio. Un cappello a larghe falde e dei superbi musthazzi che ogni tanto si liscia con noncuranza. Lei se ne accorge che il poeta di Sassari e lo storico di Sassari se la mangiano con gli occhi. Ed è ruffiana che non ne può più. Ora sorride a uno e volge le spalle all’altro, ora si volta interessata alle ragioni dell’altro e trascura l’uno. Quando passano vicino a me è il turno di Enrico costa, che parla a grandi gesti. -Questo progresso mi piace. Vi immaginate? Abbiamo appena visto delle immagini e dei suoni trasmessi dal Continente e catturati da un apparecchio televisivo dell’illuminato Griscenko, che ha aperto il negozio proprio nei portici di questo nuovo e bellissimo Grattacielo. Julia, ingenua, chiede -Anche il Grattacielo è segno di progresso, signor Enrico? -Ma certo, signora, soprattutto quello. Salvator Ruju, sarà per la gelosia sarà perché non è d’accordo, non ne può più -Grattazeru! E undì è lu grattazeru? -Prego? – gli fa seccato Enrico Costa Ruju si volta tutto scontroso. -Niente! Ma Julia si intromette vezzosa. -No, professore, la prego. Il suo punto di vista mi interessa molto. Il poeta lusingato spiega -Sa, signorina Julia… -Signora… Vedova! -Mi dispiace… Sa, signora Julia, riferivo il parere del mio amico Pedru Seccu che è appena tornato da Cicago e… Enrico Costa lo interrompe sdegnato -Professore, davanti a una signora…! -Dicevo la città americana. -Ah, allora va bene. -E il mio amico, dicevo, che ha girato il mondo, sostiene che questa è una casa manna, manna assai, va bè, a dezi o dodizi piani, ma in tanti grattazeri americani si voi cuntalli nò la fini mai. Julia gli fa le moine con la voce -Vuol dire, professore, che questo non è un vero grattacielo? -No, però è tanto grande da stonare con il paesaggio urbano. -Canti canti, professore – lo canzona Enrico Costa – Ché non è con le sue canzoni che si ferma il progresso. -Parla proprio lei che nel suo libro non fa altro che inveire contro quelli che 150 anni fa ne hanno buttato il Castello, proprio lì. Scusi, signora Julia, se risveglio brutti ricordi. -Ah, non me ne parli, professore. Io in quel 1877 ero già deceduta da due o trecento anni, non so più, ma nel Castello ci stavo bene. Sa, sinché c’è stata l’Inquisizione ogni notte andavo a tirare i piedi ai domenicani che quando mi vedevano, scusi l’espressione, si cagavano sotto le gonne perché già erano cattivi ma come spettro ero più cattiva di loro. Costa, lo storico, è interessato -E poi, signora Julia, e quando gli spagnoli sono andati via? -Mah, signor Enrico, saranno stati i primi decenni del 1700 o giù di lì, che lei lo sa che noi morti del tempo proprio ce ne fott… disinteressiamo – Lo so quando se ne sono andati. Ma lei cosa ha fatto, signora? – Ecco, mi accorgo che i miei custodi in tonaca bianca stavano raccogliendo i crocefissi e li tinagli arruiadi… dite così a Sassari per le tenaglie roventi? -Pressappoco. -Insomma, stavano facendo i bagagli e allora mi dico: boh, speriamo che non me buttino il Castello di Aragona, qui ormai ci sto bene, di tornarmene a Siligo non ne ho voglia… E mentre parlavano in mezzo alla strada all’improvviso si materializza una Fiat 509 Torpedo. Il conducente tira due potenti colpi di tromba, anche se la strada è deserta e lui potrebbe benissimo passare oltre senza romperci i coglioni. I tre sobbalzano ma Julia riprende il controllo e fa al conducente -Poni menti a me: parchì no ti soni i’ mezzu all’anchi di mamma toia? Chi inchibi già vi n’è di traffigu. Il poeta mormora tra sé ammirato -Che donna! E poi dice che non conosce la nostra lingua. E’ dei paesi ma la parla come fosse nata in via Decimario. Lo storico lo rimbecca -Ma se è una strega! E’ naturale che conosca tutte le lingue. -E poi – continua lei verso l’autista – cosa ci fai con quella macchina qui? -Come cosa ci faccio? Questa l’ho pagata ieri 16mila lire alla concessionaria SATAS di via Tempio numero 3, e abà mi la gusu cantu mi piazi. -Appunto, l’hai comprata ieri, è un modello del 1933 e ora siamo nel 1954. -Ah, quindi ho già costruito il Grattacielo Vecchio da due anni. -E lei chi sarebbe, scusi. -Permette? Clemente architetto Fernando. Salvator Ruju, come punto da una veipa tarragna, si fa davanti all’automobilista -Ah, e quindi lei dopo avere costruito nel 1952 questo palazzone grigio, nel ’65 inaugurerà quell’altro rosso ancora più grande? -Può darsi, non debbo rendere conto a lei. -Bella roba. -Cosa vuole dire? Salvator Ruju si erge anche più alto di quello che è -Chisthu però no lu possu cuà: s’è veru chi nascì debi eddu puru un althru grattazeru cuppioru, a sedizi piani, e fini fini più d’un campaniri, credira mi’, chi chistha è viridai, éiu pigliu un trincianti e cun d’un còipu ni tagliu pa di’ poggu, la midai. -Ma non faccia il buffone, poetucolo da strapazzo. Lo sa che io sarò il pupillo del grande Giovanni Michelucci. Julia chiede impressionata a Enrico Costa -Michelini… E ca è, chissu di li cubarthoni di l’otomobiri? -No, signora Julia, quello si pronuncia Misclen, questo Michelucci credo sia un grande architetto. Clemente è sempre più incazzato -E oltre al Grattacielo Nuovo, per sua norma, io farò anche il Quartiere e la Chiesa del Latte Dolce e le cliniche universitarie e la facoltà di Agraria. E farò anche il piano regolatore di Sassari, come quelli di Firenze, Bologna, Pisa e… Il professor Ruju cerca di rabbonirlo -Senta, architetto. Io la rispetto, ma le chiederei soltanto di fare un’eccezione per il Grattacielo Nuovo, se si potesse evitare. Sa, perché… Si poi cun chisthu mari di lu gratta Althri ni nasciarani in giru in giru, a vinti o trenta piani o di più, lu Pianu di lu Castheddu, cussì beddu, cu l’aiburi, lu sori e li fiori, sarà un ciapittu mannu, lu nidu di li venti furriosi, umidu e freddu e cu la lanarosgia. Clemente lo guarda sprezzante -Lei si vuole mettere di traverso al cammino del progresso. Enrico Costa assente grave -E’ quello che gli dicevo poc’anzi, caro architetto. Ma Julia non manda giù i toni del professionista, anzi, futuro professionista, perché se la macchina è del 1933 lui c’avrà al massimo sedici anni. -E tu questa otomobire non la puoi neanche guidare perché se siamo nel ’33 non c’hai la patente… però se siamo nel ’54… nosthra signora di Latti Dozzi, dugna ischumpigliu! Clemente è sempre più irritato -Oh fantasima, parchì no t’arrumbi alla janna di Calamasciu? Il poeta e lo storico scattano indignati come un sol uomo -Ma come si permette, maleducato, con una signora… -Ehia! Già zi vidimmu alla Torrese, avvidezzi, inoghi si piglia troppu fiaggu di mogano. E la macchina scompare in un rombo di scappamento. Julia scuote la testa -Più sono importanti e peggio si comportano. Come il mio inquisitore. Ma Costa riflette. -Mah, in fondo anche lui ha le sue ragioni. Era la città del dopoguerra che nei nuovi palazzi vedeva il progresso. Pensi alle Casette in Canadà a Monte Rosello… Il poeta non è d’accordo -E’ il male di Sassari. Un male antico. Quelli che comandano odiano il vecchio centro, lo ritengono un covo di malanni, e in realtà vogliono solo speculare. Ogni volta la voglia è quella di demolire, di sventrare. E quando riescono a farlo sconvolgono equilibri senza alternative valide. Anzi, pensate alla vergogna di Rizzeddu e di Corea, ghetti creati per alloggiare gente sfrattata dal centro storico. E in quel momento non ne sbuca dall’ombra un altro fantasimo grassoccio, in camicia e bretelle, con la faccia simpatica -Guardi, io a demolire non ci tenevo proprio ma c’erano problemi urgenti da risolvere. Ruju lo saluta affettuoso -Ciao, Ore’. Poi fa le presentazioni -La signora Julia Carta, strega di Siligo, condannata dall’Inquisizione e da allora inquilina del Castello e delle sue rovine, ed Enrico Costa, che non ha bisogno di presentazioni. E questi è il mio amico Oreste Pieroni, sindaco di Sassari quando si costruì il Grattacielo Vecchio. Julia è emozionata -Ma chi, quello che ha comprato Platamona dal sindaco di Sorso pa isciuccassi la piz… Pieroni la interrompe -Signora, la prego, è una vulgata semplicistica e parziale di una operazione che le assicuro fu piuttosto complessa sul piano amministrativo e anche su quello della cultura dell’approccio al turismo interno. -Non ho capito un cazzo. Però a me di mettermi a moglio ad Abacurrente mi sarebbe sempre piaciuto, ma qui in piazza Castello non è mai passato il tram di Pani e non fermano gli abusivi… le 600 multiple mì, a cinquanta lire a corsa. -Oh, mi dispiace, ma sarei ben lieto di portarcela io, a Platamona, con la mia Lancia Aurelia. -E chi è, sua moglie? Ce la vogliamo proprio carrare infatto? -No, signora, è un’automobile. -Signorina, prego. Il poeta e lo storico si guardano stupiti -Come “signorina”? Non era vedova. Ruju è incazzatissimo -E tandu. A me mi pari chi noi dui zi semmu affarrendi chi li cani e n’arribi a Pieroni, cu lu curu freschu freschu, chi si la portha subidu subidu a cuddà in otomobiri. -Il fascino del politico di un tempo. Quelli di adesso devono pagare se vogliono… -Non tutti, signor Enrico – taglia corto il poeta – Ma ora pensiamo a toglierci dalle balle questo qua… Commendator Pieroniii, Oresteeee -Sì? – fa lui seccato distogliendosi da Julia. Ruju gli sussurra all’orecchio -Guarda che questa è stata condannata dai preti: stregoneria, eresia, congressi carnali con il demonio… -Sciocchezze. -Eh, lo so. Ma pensa se si sapesse che la frequenti… si dice che per diventare sindaco hai sgarrettato Candido Mura nella Democrazia Cristiana e qualcuno, per giusto risentimento, potrebbe fare arrivare a monsignore che frequenti una sacrilega e che te la porti… -Ho capito, ho capito! Signorina Julia, purtroppo il dovere mi chiama altrove. E scompare verso piazza Del Comune. Enrico Costa riprende il ragionamento -Lei, caro professore, non ha una visione storica degli eventi. Guardi il Castello, ora Sassari giudica la sua demolizione il peggior disastro della sua storia, ma in quella fine Ottocento veniva considerata il primo vero riscatto dall’opprimente dominazione iberica. Salvator Ruju fa un ghigno -Opprimente? Perché quella piemontese è stata molto più rispettosa e liberale, vero? Julia si accorge che stanno per trascendere e cerca di sviare il discorso -E quindi nel Castello ci stavo bene ed è stato un sollievo quando sono arrivati i piemontesi ché voleva dire che non ne lo buttavano. -E cosa accadde, signora Julia? Sa nel mio libro su Sassari mi sto occupando proprio di quel periodo. -Eh, signor Enrico, di tutti li curori. I Savoia ci hanno fatto la caserma per i soldati che anche loro servivano per tenere buona la popolazione sassarese, come quelli spagnoli, che in fondo il Castello l’avevano fatto proprio per quello nel 1300. -Ma leggo dai documenti che i preti continuavano a tenerci prigionieri. -Emmo, la prigione ecclesiale, si funtumava, non era più l’Inquisizione che mi voleva troncare le ossa. Roba più leggera, ma c’erano sempre. Eh, i preti non è che te li togli così dai co… Ma Salvator Ruju, impaurito che in questo va e vieni nel tempo che stiamo vivendo questa notte, qualche domenicano incappucciato ne esca da un angolo per arrestare di nuovo Julia, la blocca. -Cagliadi linga mara, ibbadragliada, cosa credi chi sia la cappillina a cumpunitti, a fatti signorina di bona pisadìa, bè educada? -Prego, professore? Quale cappellino? Non porto alcun cappellino. -No scusi, è che questa poesia ce l’avevo già pronta. Non volevo che lei si compromettesse un’altra volta. Sa, questa volta altro che abiura a Santa Caterina, qui arriva la Coldiretti e fa l’arrostita in piazza d’Italia. Di streghe anziché di manzi. -Insomma, poi cominciano a portarci un po’ di carcerati da San Leonardo perché lì non ci stavano più e io sempre lì, tranquilla, ormai avevo trovato casa. Fino a che non decidono di buttarne tutto. Era il 1877, lo ricordo bene, quando ho sentito i primi colpi di piccone. Che paura. E ora dove vado? Mi guardo intorno e ricevo un’offerta dall’orfanotrofio vicino al Carmelo, là, mi’, dove ora ci sono le Poste. Sotto l’orfanotrofio c’era il cimitero dei domenicani. Un muntòni di ossa di frati su cui avevano costruito l’orfanotrofio e poi le Poste. Oh, a lo sapete che quando andate a fare un conto corrente state camminando su ossa di morto? Mi sono incazzata: e cosa volete, che vado ad abitare lì sotto, magari vicina di tomba di quello che aveva dato l’ordine di slogarmi le braccia per farmi confessare? -E quindi? -E quindi sono rimasta qui, tanto i sotterranei li hanno lasciati, insieme al barba.., barbacoso… -Il barbacane, signora, sarebbe la fortificazione. -Ehia, quello lì. Di giorno dormo nella cella dove mi avevano rinchiusa e la notte passeggio nel barbapapà oppure esco a prendere un po’ d’aria. -E quindi ha visto nascere i grattacieli? -Eh sì. E altre due o tre cosette qui intorno che a questa piazza Castello voi sassaresi le eravate facendo un curu a tana di grìgliuru se non la smettevate. E continua a raccontare camminando con i due corteggiatori che le stanno a fianco mentre scompaiono piano piano, tanto piano quanto il sole comincia a fare capolino dai tetti sopra i portici. E mi chiedo se ho sognato, perché non mi risulta che l’architetto Clemente fosse un maleducato prepotente, anzi, al contrario… e che Pieroni fosse un donnaiolo e che Ruju e Costa e la povera e fiera Julia… Ma la strega, un attimo prima di sparire del tutto, si volta e mi sussurra -O Filighè, no vi pinsà. Siamo tutti di Sassari, anche noi accudiddi. Cosa vuoi fare, raccontarci davvero come siamo stati? Affutidinni. Dibaghemuzzi un aizu, arumancu abà chi semmu morthi. E non c’è più.
Nella foto in alto, gentilmente concessa da Domenico Melia, le baracche agli inizi degli anni Sessanta che ospitavano gli esercizi sfrattati dai palazzi che stavano per essere demoliti (sullo sfondo) per lasciare spazio al Grattacielo Nuovo. Dentro il testo, una foto della piazza con i palazzi che verranno abbattuti per costruire il Grattacielo Vecchio.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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