Cosa fa di una città sulla costa un posto di mare, vissuto da gente di mare? Mentre cammino per Falmouth, per l’ennesima volta lungo Market street, capisco che il mare non basta. O piuttosto capisco che, in questa cittadina che ha lo stesso numero di abitanti della mia, affacciata però dieci latitudini più a sud sul golfo dell’Asinara, il mare non è solo fuori dalle finestre, né solo sotto e sopra i moli e le spiagge. Adesso che ho le ginocchia poggiate sulla moquette e il naso e la mano infilati nella fessura di uno scaffale di un negozio di libri di seconda mano e tento di afferrare una pergamena che da chissà quanto se ne stava così, mi viene in mente che il mare è anche là, proprio dietro il mobile e forse si farà acciuffare. Ecco, l’ho presa. La trascino stringendola fra l’indice e il medio mentre la libraia non si cura affatto dell’operazione complessa in cui sono impegnata. Forse è abitutata ad avere clienti strani, gente che cerca cose immaginarie fra i suoi scaffali. Ci avevo visto giusto: è effettivamente una mappa, sembrerebbe di carta e di stoffa e rappresenta la Cornovaglia, con Falmouth, le sue altezze e le sue profondità cangianti, al centro di essa. È vecchia e costa cinque pound. Da un paio d’ore sono chiusa qua dentro (è la mia prima mattina libera dopo giorni di studio e dopo l’esame dello Yacht Master) e ho già un cumuletto di libri messi da parte, niente in confronto a quel che vorrei portarmi via. Ho ancora un po di tempo prima dell’ora ics e posso bighellonare per le vie perpendicolari a questa Market Street che è finora l’unica che abbia davvero attraversato. Pago ma lascio il mio bottino in custodia alla libraia, tornerò più tardi. Il bordo interno della città, opposto al mare, è collina. Mi infilo fra case quadrate e colorate, scandite da tetti spioventi e vetrate che emergono in davanzali che racchiudono salotti. La baia riappare ancora, dall’alto, con le sue centinaia di piccole barche alla boa, tutte la, coinvolte nel saliscendi della marea, cinque metri giù cinque metri su ogni sei ore. Sul lato destro, in fondo, il titanico cantiere navale dell’ A&P e in lontananza sull’altro lato della baia, i boschi ed i prati attorno a Flushing e Saint Mawes. Poco più a sud è l’ingresso del Channel, uno dei passaggi marittimi più trafficati del mondo. Per l’oceano Atlantico, dal mari del nord o dall’Europa del sud, questa è la porta e Falmouth è guardiana. E se impreparata la colse una volta l’Armada spagnola che catturandola destò gli incubi di Elisabetta Prima e di tutta l’Inghilterra, ci pensò spesso una tempesta a mettere fine ai pensieri del nemico. Cammino senza peso poggiando gli occhi dentro i salotti. Trovo spesso sui comò, al centro delle finestre, il modellino di una vela, la mappa appesa di un porto, un campanello a forma di barca, un barometro accanto a un orologio da parete, una rete da pesca invece di tende. Può darsi che per ogni modellino di vela in bella vista ci sia un parente o un amico o un avo lontano che se n’è andato per mare a procurarsi la vita e che un’attesa si sia consumata dietro quella finestra. Ma è anche probabile che questo sia semplicemente il modo consueto per arredare una vetrata. Ho letto che gli inglesi vanno pazzi per le previsioni del tempo e che in tanti alla sera si cullano al ritmo ipnotico del Shipping Forecast trasmesso da BBC 4. Non lontano da qui, a Exeter, sorge il più importante centro meteorologico degli Uk, il Met Office, autorevole fonte di previsione per qualunque marinaio che si trovi a navigare in acque britanniche e non. Ma se è possibile, in Falmouth la meteorologia è scienza popolare e preghiera recitata mentre fuori è l’inferno, perchè sia salva la pelle. Barometri e nuvole dunque, aloni del sole, antiche rime che velisti e pescatori ameranno sempre e che sanno dire del vento, del suo senso di rotazione, del fronte freddo in arrivo, della depressione, della pioggia, della nebbia. La luna piena produce le più alte alte maree e le più basse basse e si saprà delle barche e delle navi che qui avranno trovato rifugio, o di quelle invece naufragate (come è accaduto anche pochi mesi fa al mercantile russo Kuzma Minin). In The Levelling Sea. The Story of a Cornish Haven in the Age of Sail, Philip Marsden racconta di quando suo nonno ormai lontano da Falmouth e novantenne lo interrogava ogni giorno al telefono sui dettagli del meteo e domandava, nome per nome, chi, fra le persone conosciute, fosse andato per mare, chi fosse rientrato e chi invece non si era rivisto ancora in banchina. Poi la foto del nonno in bianco e nero: un uomo alto, gli stivali al ginocchio, una giacca in velluto, una sacca sulla spalla, due occhialetti tondi e uno splendido sorriso. Nel vederla sono allibita: sembra la copia spiccicata del mio bisnonno, Emilio Pietrasanta, classe 1872, però musicista e di lingua toscana, di lui sappiamo che aveva un fratello suonatore imbarcato per raggiungere New York. Un gabbiano è atterrato in un giardino e familiarizza col gatto nero che mi segue lungo il marciapiede. Chissà poi se come si racconta nella fiaba che ho appena comprato per la piccola Eleonora, i gabbiani e gli abitanti di questo villaggio marino, hanno risolto il conflitto e trovato un accordo per una pacifica convivenza. Ho visto però bambini correre verso le ringhiere di Pendennis Point, sotto il castello di Enrico Ottavo, convinti di aver visto una foca. Che idea assurda si potrebbe pensare, e invece la foca c’era davvero, con la testa fuori dall’acqua e uno sguardo curioso: ed io che l’avevo scambiata per la testa di un alano! Dal castello di Pendennis Sir John Killigrew, vice ammiraglio di Cornovaglia e governatore reale ancora ai tempi della prima Elisabetta, traduce il traffico della pirateria in affari per la città. Lady Mary sua sposa, figlia di un pirata gentiluomo, è ella stessa pirata temuta e Falmouth il principale fra i porti inglesi in cui si smercino bottini e circolino gran bei farabutti. I cortili che si affacciano centro metri sopra il livello danzante del mare racchiudono talvolta barche di legno, piccole e buone per la pesca la domenica quando il sole scintilla ed è già bella stagione. Sulla Old Hill, quartiere popolare, un uomo sta scartavetrando il capodibanda con cura e saluta al mio passare curioso. Ho camminato troppo, più di due miglia terrestri, sono quasi al Marina dove alloggio in questi giorni ma di certo non voglio tornare in barca così presto. Nel mio primo giorno interamente libero ho un appuntamento importante che non posso mancare. Scendo così di nuovo verso Market Street . Strada facendo mi fermo nella prima libreria che si incontra venendo dalla scuola del Cornishing Cruising e mi fermo un attimo a chiedere, ma nemmeno questo docile libraio ha un testo sulla pesca alle ostriche e sulle piccole barche a vela che qui si usano obbligatoriamente per farne raccolta. Sembra un mestiere segreto e chi ha un amico pescatore di ostriche, come si fa per la perla, se lo tiene stretto e non lo rivela a nessuno. I bretoni, nonostante francesi, qui non sono mal visti, forse se ne prova soggezione, ma da qualcuno ho sentito dire che una fratellanza scorre fra le sponde di questa Manica d’acqua salata e le ostriche ne sono le vittime. Solo a ottobre sembra che ogni segreto si sveli e il festival imponente che qui si celebra, nessuno in paese se lo perderebbe per niente al mondo. Ho il mio appuntamento, sono già le undici e non posso mancarlo semplicemente perche vado cercando storie di ostriche. Di nuovo Market Street – è la millesima volta. Il turismo è arrivato da tempo in città, il clima è fra i migliori di tutta la Gran Bretagna, le tazze in vendita nelle vetrine di souvenir hanno disegni di pesci e righe azzurri orizzontali, l’abbigliamento e i gelati sono italiani, i pub e le barberie hanno pavimenti in parquet e sedie antiche di pelle con i poggiapiedi in metallo e mi ricordano gli omologhi locali a Sassari Vecchia. Vecchie lanterne di navi sono luci d’ingresso ai ristoranti, al cinema proiettano Maiden, dai bordi dei tetti fra le palazzine a due piani si celebra un granpavese. Ci sono robbi vecchi e robbi novi, negozi d’arte antica e moderna, scafandri e carillon, perle di vetro e mai aperte bottiglie di gin, quadri e stampe di mari agitati e navi in tempesta, una donna che rema nella bufera, equipaggi affondati e un capitano coraggioso rimasto per tredici giorni sulla sua nave naufragata, ed è tutto in vista dalle vetrine sulla strada, o ben nascosto e impolverato dietro cataste di altro, vinili e abiti di lana fra i quali l’anziana proprietaria di un negozio, che sembrerebbe ancora in pigiama, è intenta a cercare ciò che suo malgrado non trova piu da tempo. Ma eccomi finalmente al Bookseller, fra tutte quelle che ho visto finora la più leccata delle librerie. Cinquantun anni fa un uomo era partito da Falmouth per partecipare a una regata che si chiamava allora Golden Globe Word Race e che il Sunday Time aveva sponsorizzato ampiamente: un giro in barca, però intorno al mondo, a vela e in solitario. Il primo nella storia. Fra i nove iscritti e aspiranti al record e al sostanzioso premio in palio, tre personaggi hanno sempre suscitato la mia incredulità. Uno è Bernard Moitessier, navigatore e poeta originale che quando si trovò a doppiare l’ultimo e più temuto dei passaggi, Capo Horn, invece di risalire l’Atlantico per tagliare il traguardo in un porto inglese e vincere il premio, decise di proseguire e di passare ancora una volta Buona Speranza ed avere, come disse, l’anima salva. Il secondo personaggio che continua a suscitare in me sconcerto è Donald Crowhurst: quest’uomo fece qualcosa di drammatico ed opposto alla scelta di Moitessier. Invece di svolgere la regata attorno al pianeta rimase nascosto in Atlantico per quasi un anno e ingannò il mondo intero inviando per radio fasulli e complicatissimi calcoli di rilevamento del sole e delle stelle, come se si fosse trovato effettivamente in altre longitudini. Invece di portare a termine il piano malefico e farsi trovare primo nel risalire verso la Gran Bretagna, sembra sia stato assalito dai sensi di colpa e si sia tolto la vita lasciando diari colmi di calcoli e follie sul piccolo trimarano che fu ritrovato naufrago. Nessuno degli altri partecipanti riuscì a terminare l’impresa, eccetto colui che era partito a bordo di un 9 metri e ottanta e con la minore delle probabilità di successo, o almeno così si disse, e che come porto di partenza aveva scelto Falmouth. Sir Robin Knox-Johnston ha oggi ottantanni e ha appena finito di firmare la mia copia di Running Free, ovvero l’autobiografia che ho comprato, nuova di zecca e che gli sottopongo, al termine di un’attesa affatto spiacevole. Un’anziana signora davanti a me viene da un villaggio non distante e mi chiede di tenerle il posto in fila perché suo marito è sparito e lei va un attimo fuori a cercarlo. Torna senza averlo trovato, dice che non può di certo perdersi la firma di Sir Robin per aspettare il coniuge impazzito. Era uscita per mare anche lei quel giorno di cinquat’anni prima come aveva fatto l’intera Falmouth per accogliere il ritorno dell’eroe. Sir Robin sembra poco slanciato al momento della prima foto che qualcuno ci scatta col mio cellulare, poi una voce gli suggerisce che potrebbe anche mettermi un braccio attorno alle spalle e allora ci mettiamo entrambi a ridere. Giusto una mezzora prima Ian Seward, esaminatore del Royal Yacht Association che ieri mi ha interrogato per tre lunghe ore nell’attenta verifica della mia conoscenza sulla navigazione oceanica, ha confermato la mia promozione. L’abbraccio di Sir Robin è adesso cento volte più significativo di un bacio accademico. L’emozione è forte, ma tutto l’evento si consuma nell’arco di una manciata di minuti. Ora devo tornare dalla mia libraia preferita e ritirare i miei tesori nascosti. La donna mi augura un buon rientro e mi dice di salutarle la Sardegna, che come Falmouth e la Cornovaglia ha rocce di granito e un vento che spazza ogni cosa. Ancora una volta la via principale in discesa, poi ancora una volta in salita e giù di nuovo fino al Marina. Domani parto, mi sembra di lasciare centinaia di segreti in ogni fessura della città. Vorrei tornare a Pendennis Point ancora una volta ma è troppo lontano, vorrei tornarci per il passaggio del meridiano e per scoprire di nuovo dal binocolo di un sestante il punto esatto in cui il sole ogni giorno smette di inerpicarsi nel cielo per cominciare la sua discesa, mentre la gente è felice perché quel sole splende e vuol commentarlo con te. Vorrei osservare ancora lo scorrere della marea sopra i pendii che a tratti sono profondità su cui la luna può riflettere se stessa, ma che torneranno di nuovo ad essere semplice fango e detriti dove le barche hanno lasciato le chiglie. Nick, il capo del Cornishing Cruising, mi ha stretto la mano stasera. Avevamo iniziato piuttosto male il nostro rapporto e fino a ieri avremmo potuto gettarci in acqua l’un l’altro o più semplicemente mandarci al diavolo. Ma dopo il mio esame un’ombra è sembrata asciugarsi dal suo viso e nel sorridermi mi ha detto che era lieto per il mio risultato. Ho dovuto piegare le mappe che la libraia teneva giustamente arrotolate nel suo negozio, perché entrassero invece nel mio zaino. Le mappe sono fatte di acqua e di sale e la marea sale e scende lungo i bordi costieri. Quando le srotolerò, al prossimo porto in cui farò scalo, tutto l’orizzonte si muoverà come si muove adesso. Il libro di Sir Robin ha incontrato casualmente il suo posto perfetto fra le altre mie cose: chi avrebbe mai detto che si sarebbe trovato così vicino al suo rivale Bernard Moitessier (di cui guarda caso stavo leggendo Tamata e l’Alleanza), proprio dentro la tasca della mia valigia? Quale effetto cumulativo produce tanta prossimità al mare, si chiede Philipe Marsden mentre racconta la sua Falmouth. È un impulso all’ozio o all’irrequietezza? Promuove l’equilibrio o corrompe l’animo condannandolo a una ricerca senza tregua oltre i vincoli della terra e dei moli? E intanto si è fatta l’ora per l’appunto di andar via, di riprendere il largo, anche se a bordo di un aereo. Non fa molta differenza, tanto mi pare che il mare di Falmouth vada ben oltre la linea di costa.
Falmouth Marina, 23 aprile 2019
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
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