Domani saranno venticinque anni dall’assassinio del magistrato Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei tre uomini della scorta sorpresi dal tritolo a Capaci. In questi anni, al di là delle doverose commemorazioni di rito dei tanti martiri uccisi per ordine dei boss, la sensazione è che i traffici della mafia siciliana siano usciti dall’attenzione generale. Se ne parla meno, come se questa potente forma di criminalità organizzata abbia visto ridursi il suo potere, fin quasi a diventare innocua. Ma quando la tentazione di dichiarare vinta la guerra è ad un passo, ecco che arriva la cronaca a smorzare gli entusiasmi. Stamattina, a Palermo, il boss Giuseppe Dainotti è stato freddato da due sicari, mentre pedalava tranquillamente sulla sua bici, tra le vie del centro. Leggendo la cronaca dei fatti, sono finito in mezzo ad una serie di altri articoli, relegati in cronaca locale, dai quali si poteva avere un resoconto degli ultimi mesi del duello tra forze dell’ordine e mafia. Arresti, sequestri di locali e beni immobiliari, inchieste sulle forme di riciclaggio, ascesa di nuovi profili criminali. La mafia non è morta. Esiste ancora, ma forse la sua presenza fa meno notizia. Ce ne ricordiamo quando i sicari tornano al lavoro o quando, anno dopo anno, viene il 23 di maggio. La missione interrotta di Giovanni Falcone, venticinque anni dopo, attende ancora di essere conclusa.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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