Piero Dorfles nel “Ritorno del dinosauro”parla degli scarsi contenuti delle forme moderne di comunicazione citando una geniale vignetta del disegnatore americano Gary Larson. Si vede un inventore che, indossata la macchina che permette di capire il linguaggio degli animali, attraversa deluso un quartiere residenziale degli Usa scoprendo che ogni cane abbaia dal suo cortile soltanto per dire: “Io sono qui, io sono qui, io sono qui”. Dorfles la cita a proposito di radio e tv, ma io la lego a questa faccenda che la pastasciutta non te la godi se non la condividi su Facebook. Anzi, non è che non te la godi, proprio non è mai esistita. Dice che l’era dei social e dei selfie sta annullando la percezione privata degli avvenimenti. Penso però che non sia una novità. Ciascuno di noi cerca istintivamente di dare una forma e un limite alle proprie emozioni, di regolarle, di fare in modo che non ci travolgano e insieme che non scompaiano. E la condivisione è sempre stato il sistema più usato e sicuro: comunicare l’emozione per contenerla, addirittura per annullarla quando l’emozione è sgradevole. Il vecchio “effetto liberatorio” di cui abbiamo sempre abusato senza fare troppa sociologia. Oppure per fissarla, dargli un effetto duraturo, quando l’emozione è piacevole. Se la prendono anche contro i selfie, parlando di un inedito esibizionismo scatenato dalla diffusione degli smartphone. Ma perché, anche prima degli smartphone non vi siate mai imbattuti in uno dei tanti delinquenti che vi si appiattolava alle balle per mostrarvi le sue foto di viaggio? Erano vere e proprie trappole sanguinose. Tu varcavi ignaro la soglia di una casa e ti trovavi quattro faldoni di foto ordinate per argomento o cronologicamente. Il clou era quando il commentatore diceva. “Scusa, sto andando troppo in fretta?”. Immaginatevi quindi quando questa gente tramite lo smartphone si è trovata in possesso di un agile album fotografico portatile. Una ragazza mi ha raccontato, con ancora il terrore e l’umiliazione vivi nel ricordo, di essere stata violentata da una coppia di coniugi mentre si risvegliava stordita dopo una nottata in cui aveva bevuto smodatamente -La testa mi scoppiava per la sbronza, mi sentivo debole, confusa, non avevo la forza di reagire. Si sono chinati su di me, mi hanno puntato sul viso lo schermo del cellulare e mi hanno mostrato più di duecento foto della loro crociera in Asia, commentandole tutte. E’ stato terribile. E in quanto all’esibizionismo, non ricordate quanto questo vizio connaturato all’umanità abbia raggiunto vertici altissimi utilizzando i pur ridotti strumenti di esibizione che esistevano prima di Internet? Per dire, a esempio, l’esibizionismo sessuale. Non è mica passato un secolo da quando le pareti delle edicole erano tappezzate di giornali porno in tutte le declinazioni. E in questa pornotapezzeria delle edicole spiccavano i vari “Autoscatto”. Erano per lo più foto di anziane bagasce nude (“milf” ancora non l’avevano inventato) che si mettevano davanti allo specchio e prima di inviare le foto, in un sussulto di pudicizia, rendevano irriconoscibile il viso con un pennarello nero. Dice, erano cose autopromozionali. Ma neppure per idea! Era esibizione pura, magari neppure sempre pruriginosa. Gente, uomini e donne, che aveva voglia di mostrarsi. Erano i selfie alla Polaroid. Ci sono sempre stati angoli di vita che non hanno senso se non condivisi. Io avevo un compagno di scuola che era di una simpatia travolgente e riservato quanto una spia russa. Era anche un tipo affascinante e aveva una vita sessuale piuttosto intensa. Della quale, naturalmente, non parlava mai. Tra i ragazzi allora c’era riservatezza su quegli argomenti. Dopo la maturità andò a studiare a Roma e, siccome non navigava nell’oro, lavorava per aiutare la famiglia a mantenerlo all’università. Ogni giorno per andare alla mensa dello studente passava davanti a un’agenzia di viaggi che esponeva le tariffe dei voli intercontinentali. In quegli anni ci fu una specie di guerra dei prezzi e accadeva che alcune compagnie all’ultimo momento praticamente regalassero i posti invenduti. Un giorno il mio amico passò davanti all’agenzia e vide un Roma-New York andata e ritorno a 20.000 lire con partenza quasi immediata. Era una provocazione della compagnia contro la concorrenza. Un biglietto che valeva milioni di lire, in realtà. Il mio amico aveva i documenti in regola, entrò, comprò il biglietto e non lo disse a nessuno. Dopo pochi giorni era in volo verso l’aeroporto Fiorello La Guardia. Quando atterrò sapeva di essere a due passi da Manhattan perché lo aveva letto in un pieghevole gratuito plurilingue. Ma non aveva in tasca neppure i soldi per uscire dall’aeroporto. Trovò un poliziotto di origine italiana e lo convinse ad aiutarlo in biglietteria (non parlava una parola di Inglese) a sostituire la data del ritorno fissata per la settimana successiva, con la prima partenza per Roma, di lì a poche ore. E quindi se ne stette tranquillo in aeroporto ad aspettare la partenza, nutrendosi con una barretta di una specie di Ciocorì offertagli dal poliziotto. Quando una decina o più di anni fa uscì il film di Spielberg “The Terminal” pensai a lui. E a pensarci bene il mio amico è proprio uno tipo Tom Hanks. Insomma, si imbarcò, dormì in aereo e quando arrivò a Roma andò dritto alla mensa, dove vedeva ogni giorno i suoi colleghi. Si sedette al tavolo, si guardò intorno e proclamò -Sapete dov’ero sino a poche ore fa? A New York! Gli astanti si guardarono tra loro perplessi, qualcuno scosse le spalle e ripresero i discorsi di prima, un po’ stupiti per la battuta cretina del mio amico che di solito invece era spiritoso. E tutta questa storia ve la dico solo per il commento che al termine del suo racconto il mio amico fece con me. -Cazzo, Cosimo, mi sono sentito perduto. La sfacchinata che avevo fatto era totalmente inutile perché non potevo dimostrarlo. Era come aversi scopato Laura Antonelli senza nessun testimone. E qui vorrei commentare che il mio amico faceva l’amore, ma non “si scopava” nessuna. L’espressione usata aveva un valore espressivo tutto simbolico e spersonalizzante dell’evento eccezionale; così come emblematica, per farmi capire il concetto, era la scelta di quell’icona sessuale che all’epoca era Laura Antonelli. Insomma, Facebook non era neppure un’ipotesi, però il mio amico già da allora pensava che certe emozioni sono inesistenti se non condivise. E il suo strumento di condivisione era la tavolata della mensa, in attesa dello smartphone. Il mio amico in quanto a donne era riservatissimo, ma l’ipotesi di ritrovarsi nel letto di Laura Antonelli non apparteneva più alla sfera sessuale intima della partner e sua, ma a quella del realismo magico che ogni tanto sfiora la nostra vita, come imbattersi in un fantasma, in un disco volante o non avere in tasca cinque centesimi per fare ballare l’orso del gobbo ma volare a New York e tornare dopo poche ore. Mi colpì molto quella specie di metafora sessuale sulla Antonelli, usata così, in maniera un po’ volgare, da uno che rispettava donne e uomini. E ho pensato a tutti i garzoni che portavano il latte o i giornali, adolescenti che inusitatamente si sono trovati tra le lenzuola di Marilyn Monroe negli ultimi mesi della sua vita, quando nel suo disperato cupio dissolvi si annichiliva con il sesso sempre e con chiunque. Che cosa voleva dire per quei ragazzi fare l’amore con un simbolo erotico? Era un po’ come quando a un pastorello dell’arcadia compariva Afrodite in persona invitandolo a raggiungerla dietro un cespuglio. Laura Antonelli, Marilyn Monroe, Afrodite, non più donne ma avvenimenti prodigiosi. Non era sesso, era molto di più: un evento eccezionale che allora come adesso non esisteva se non lo fissavi nella realtà. Condividendolo.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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