Sono passati oltre dodici anni dalla morte di Stefano Cucchi e ancora questo paese è costretto a misurare la qualità della democrazia. Ancora frasi gettate nel tritacarne dell’indecenza, ancora rappresentanti dello Stato che scrivono – e dunque pensano – concetti disumani, lontani dall’etica che la divisa dovrebbe contraddistinguere. E’ comprensibile la rabbia, il grado di emotività che si mescola all’impotenza per aver perduto un proprio commilitone, uno che svolgeva un lavoro complesso, un carabiniere ucciso durante il servizio. Una tragedia infinita, inspiegabile, un dramma che abbiamo sentito nostro. Il vice brigadiere Mario Cerciello Rega perde la vita il 26 luglio del 2019. Sono stati due giovani statunitensi che vengono arrestati 24 ore dopo. Entrambi sono condannati in primo grado all’ergastolo per quell’atto disumano, improprio, inutile, cattivo, senza alcuna giustificazione. Quel giorno, dopo la cattura, iniziano le conversazioni nelle chat con frasi che hanno poco a che fare con chi dovrebbe garantire l’ordine e la sicurezza pubblica: “Non mi venite a dire arrestiamoli e basta. Bisogna chiuderli in una stanza e ammazzarli per davvero; bisogna squagliarli nell’acido” e infine “facciamogli fare la fine di Cucchi”. Frasi che non lasciano nessuno spazio alle giustificazioni, alla possibilità di comprendere una rabbia fredda, cinica, dura, inutile. Quelle frasi, quel modo di pensare, ci trasporta dentro mille considerazioni e ci costringe a domandarci se questo è lo stato delle nostre forze dell’ordine. No, non lo è. Lo abbiamo detto e ripetuto troppe volte: non possiamo soppesare l’arma dei carabinieri in base a qualche dichiarazione fuori luogo o all’assassinio di un giovane geometra. Questo non significa però che non ci si debba interrogare sul perché ci siano, ancora, persone con la divisa che la pensano in questo modo. E’ il contesto sociale, l’adrenalina dell’attimo, è il sentirsi abbandonati ed incapaci di gestire le emozioni? Certo, è anche quello, ma il problema più grande, il problema principale è legato alla formazione iniziale e a quella continua dove da anni si è preferito non investire per mancanza di fondi e per mancanza di visione sociale. All’interno delle scuole di polizia occorre portare la cultura dell’accettazione, quella dell’inclusione, la comprensione delle situazioni, il saper gestire la rabbia, il dover rappresentare uno Stato democratico che non può accettare certe forme di violenza, anche verbali. Manca la cultura del “prendersi carico” della persona, con le sue contraddizioni, con i suoi errori e manca, soprattutto, l’interesse a mettere in primo piano la mediazione, la cultura dell’attesa e dell’ascolto. Un assassino è un assassino. Ha ucciso un uomo. Può essere tuo padre, il tuo miglior amico, un tuo collega. Rimane un assassino e quel gesto è esecrabile, condannabile, merita la severità di una pena equa. Ma quell’assassino non può essere trattato come un corpo inutile, non può essere pestato sino a recuperare l’anima a forza di botte, non può essere bendato, non può essere insultato e minacciato. Soprattutto da uomini che rappresentano lo Stato. Ho un estremo rispetto per le divise, provengo da una famiglia che ne ha indossate molte, ho lavorato e lavoro da anni tra uomini che garantiscono la sicurezza e lo fanno in maniera eccelsa, con spirito di abnegazione, con passione e con qualche briciolo di ansia e di paura. Proprio per questo rispetto sacrale non posso accettare che quelle divise possano essere macchiate da gesti inconsulti e che rigettano tutto nel carniere dell’indecenza. Ho vissuto i giorni della morte di Stefano Cucchi vicino alle persone che erano state ingiustamente accusate. Alcune di loro (compreso un mio collega) è stato inizialmente condannato per poi essere assolto in quanto completamente estraneo ai fatti. Quell’omicidio è una ferita che non rimargina, è sangue che non si lava sull’enorme lastra della democrazia. Non giustifichiamo questi gesti, queste frasi: riflettiamo e soppesiamo le parole. E’ questo il sale della democrazia.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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