Ieri Matteo Salvini ha rilasciato questa dichiarazione: “Voto in giunta e processo? Sono tranquillissimo, gli italiani sanno che ho agito per il loro bene e la loro sicurezza”. Significa che una cinquantina di disperati in mezzo al mare, per il ministro, sono una minaccia alla sicurezza nazionale. Persone di cui il ministro non sa nulla, di cui non conosce nomi, origini, storie personali, ambizioni. Significa che, per una buona parte di italiani, questi profughi sono davvero una minaccia e che quel che arriva dal mare rappresenta un pericolo. Oggi Salvini, nel suo tour in Sardegna, ha portato come risultato della sua azione politica i 114 profughi in meno sbarcati nell’Isola da quando lui è al governo. È difficile credere che un popolo glorioso come quello italiano si sia ridotto a considerare politica la speculazione razzista sulla pelle di pochi disperati, ininfluenti per le sorti della regione. È difficile credere che un popolo di migranti come i sardi possa accettare di rinnegare la propria storia e di credere alla mistificazione dell’uomo nero brutto e cattivo. Ma è proprio così, facciamocene una ragione.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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