Quando il giornalista che aveva contattato lo liquidò, spiegandogli che la sua storia era troppo insidiosa per essere pubblicata, Fabio andò da un tipografo, fece stampare un gruzzolo di manifesti e li appese nottetempo per tutta Olbia. Parole che non potevano contenere l’incommensurabile dolore di un padre che perde un figlio poco più che neonato – senza neanche l’appiglio razionale di una ragione, senza l’attenuante della fatalità – ma parole che spiegavano bene il bisogno di giustizia, perché ciò che era accaduto a Pietro non si ripetesse. Fabio Pileri io lo conobbi allora, quattordici anni fa, una settimana dopo la morte di Pietro, spentosi per un’occlusione intestinale dopo due giorni di attesa tra i reparti dell’ospedale di Sassari. Aveva diciotto mesi. Provai a chiamare il numero di telefono stampato sul manifesto, mi rispose la moglie Mariolina e venni ricevuto nella loro casa, quello stesso pomeriggio. Fabio non pianse mai, durante quell’intervista: la più difficile della mia pur modesta carriera da giornalista. Non pianse neppure quando Mariolina si sciolse in un diluvio di lacrime, neanche quando lei raccontò che Pietro aveva chiesto un biscotto, prima di perdere conoscenza per sempre, un biscotto che gli venne negato perché i medici lo avevano sconsigliato. Lui era impietrito, ma lucido. Voleva solo sapere come fossero andate le cose e mettere in condizione di non nuocere più chi, eventualmente, avesse sbagliato. Scrissi un pezzo, agli albori di questo blog, intitolato “Pietro e i bambini di Gaza”. Lo scrissi perché al processo per quella morte, come spesso accade in Italia, non furono trovati colpevoli. Lo lessi in pubblico al primo reading di Sardegnablogger (https://youtu.be/7BKB52z60hE) e volli che Fabio e Mariolina fossero accanto a me. Quel pezzo si concludeva con l’auspicio, che io ponevo sotto forma di certezza, che non potesse finire così, senza colpe né colpevoli. Scrissi che un paese civile non poteva negare la giustizia ad un padre e una madre che avevano perso un figlio di un anno e mezzo dopo aver aspettato per due giorni, invano, che venisse curato. E invece la vita bastarda ha cancellato quelle parole e la speranza che contenevano. Fabio Pileri è morto oggi a cinquant’anni, dopo una lunga malattia, senza aver mai potuto conoscere quella verità. In realtà io credo che la sapesse, ma volesse solo vederla riconosciuta, certificata. Nessuno, tra chi lo ha conosciuto, potrà mai dimenticare la caparbietà e la determinazione che aveva speso nella sua battaglia per la verità. Riposa in pace, Fabio.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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