Non so come finirà questo Tour de France. In questo momento, confesso che neppure mi interessa più di tanto. Quel che so è che stasera, chiunque al mondo guardi la classifica del Tour de France vedrà in cima a quella lista un ciclista sardo, di Villacidro, con i quattro mori stampati sul casco. E so che tutto il mondo lo ha visto sul podio, indossare la maglia gialla: mai era successo, ad un sardo, di essere davanti a tutti, in questa leggendaria corsa a tappe. Non so quanto durerà, so che questa giornata in maglia gialla durerà un’eternità. Perché in giallo ci siamo un po’ tutti noi, che sappiamo cosa sia la fatica della bicicletta e che per tutti i 214 chilometri della tappa pirenaica di oggi abbiamo trepidato perché il nostro cavaliere facesse vedere al resto del mondo di cosa è capace.
Non so se quell’inglese cresciuto sugli altopiani africani si riprenderà la maglia che sembra appartenergli per diritto naturale, non so se il giovane francese col corpo da fantino dimostrerà di saper tenere testa ai suoi rivali fino in fondo, in questo entusiasmante confronto sul filo dei secondi. Quel che so è che Fabio Aru il suo Giro di Francia lo ha già vinto, quel che so è che nessun sardo è stato mai capace di esaltarci tanto, in una competizione sportiva di grandezza mondiale, come ha saputo fare questo ragazzo di Villacidro. Il Tour de France, la più grande competizione ciclistica del mondo.
Aru ha corso da fuoriclasse. È sempre stato a ruota del galattico team Sky di Chris Froome, capace di imporre un ritmo infernale per tutta la durata della gara per proteggere il capitano in maglia gialla. Ha rischiato anche di finire a terra con lui, quando il leader della classifica – anzi, l’ex leader – è andato lungo in una curva, rischiando di fare la frittata. Pericolo scampato. E poi sono arrivati gli ultimi chilometri, anzi l’ultimo chilometro. Una rampa di garage al venti per cento, dopo duecento chilometri di pedalata ad oltre 40 all’ora di media. Il ciclismo è un po’ come una partita a poker, riconosci forza o debolezze degli avversari dai gesti. E Aru, con le sue piccole mosse, dimostrava una sicurezza assoluta. Lo si vedeva da come rizzava in piedi sui pedali, dalla lucidità con cui addentava la barretta in discesa, dalla facilità con cui si levava gli occhiali per riporli nella tasca del suo body.
Negli ultimi cinquecento metri, credo che tutta la Sardegna abbia spinto Fabio da Villacidro, quando ha deciso di piazzare lo scatto decisivo, fiaccando la resistenza dell’inglese cresciuto sugli altopiani africani. Un’impresa ciclopica, battere un fuoriclasse sorretto da una squadra di campioni, nella prima tappa pirenaica che Froome aveva sempre vinto, negli ultimi anni. Non so quanto durerà questo sogno, so che stiamo sognando tutti assieme a Fabio. E se qualcuno mi chiedesse se stasera sono più fiero di essere sardo, direi di no: fiero come lo sono sempre stato. Ma forse un pochino più consapevole.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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