Io l’ho visto che raggranellava boati di ossigeno e provava a cancellare la fatica. L’ho visto che raccoglieva tutta la forza che aveva negli anfratti delle sue possibilità. L’ho visto piegarsi e barcollare, giunco che non si spezza, esile e silente, mentre davanti c’era la salita: il Mortirolo. Quella montagna ha sempre qualcosa di magico: distrugge ed esalta, diventi un campione da ricordare per tutta la vita o entri nell’oblio del silenzio. Quelle rampe che non riesci mai a contare e non riesci mai a domare, sembrano le curve della tua vita. Io l’ho visto Fabio Aru pedalare per aggirare gli ostacoli, raggomitolandosi tra il dolore e la rabbia. L’ho visto quando Contador l’ha raggiunto e, per un attimo, gli si è avvicinato e ha pedalato con lui. Ma si sapeva che non avrebbe mai pedalato per lui. Ho visto quando lo spagnolo ha preso la bicicletta e l’ha spronata verso la vetta e Fabio Aru a guardare, nel silenzio degli attimi. Io l’ho visto che con il pensiero era più veloce di tutti, era già all’ultimo chilometro, era lassù a controllare tutto e tutti, ma le gambe non c’erano, le gambe di Fabio si rifiutavano di trovare una soluzione. E tutti, allora, davanti alla magnificenza di Contador, alla forza di Landa – sino a quel momento il suo fido gregario – gridavano alla sconfitta: Aru non c’è più, polverizzato: è la resa del sardo al suo ex gregario che da oggi, probabilmente, sarà il capitano dell’Astana. Già, le sconfitte si consumano nel silenzio e il mondo non c’è mai a consolarti. Non c’è mai nessuno quando perdi, non c’è mai nessuno che possa dirti: eppure, a ben vedere hai fatto l’impresa. Che impresa è se arrivi settimo, a quasi tre minuti dal vincitore, che impresa può essere quella dove le parole hanno emigrato verso altri ciclisti e tu, ormai, sei quasi dimenticato? Ed invece vista dall’alto del Mortirolo Fabio Aru ha vinto. E’ arrivato senza nessun aiuto a solcare la vetta, è ridisceso e poi, ancora è risalito, ha distrutto la catena e ha cambiato bici, come si cambia prospettiva. Da solo, come un piccolo “nibaru” che non si spezza. E’ giovane Aru e ha capito che occorre perderle certe battaglie per poter crescere. Poi, in fondo, quella vetta l’ha scalata con grande dignità. C’è ancora tanta strada da fare nel Mortirolo della vita.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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