Io l’ho visto annusare il verde che in Sardegna non esiste, quel verde forte e intenso che dipinge le montagne e le rimodella: Il Cervino non è il Mortirolo. Per il nome e per il mito, ma la tappa è dura e occorre arrivarci da queste parti. L’ho visto allungare gli occhi per vedere il buon Visconti con in tasca una fuga destinata a morire prima dell’arrivo; ho visto che Contador e Landa si marcavano a vicenda e lui, Fabio, a costruire attimi di attesa, quasi alla ricerca di una soluzione che non può nascere dalla tattica, perché di tattica si muore e perché certe cose ai campioni, quelli veri, nascono senza neppure passare per la ragione: nascono e basta. Quando riesci a fare quegli scatti, a lanciare una palla nel punto più incredibile, quando salti più in alto di tutti dove gli altri non arriveranno mai, allora capisci di non essere lì per caso. Aru ha osservato e ha visto Hesjedal allungare, ma quella è tattica, si prova perché a volte riesce. Se nessuno ha voglia di suonare nessun assolo, se nessuno ha la forza di controbattere e se i padroni della corsa sono accucciati a guardarsi tra di loro. Aru ha osservato quella bici che gli stava davanti e proprio in quel momento ha deciso che occorreva andare a prendersi tutto quel verde che dalle nostre parti non c’è e lo voleva fare da solo. In questi giorni ha imparato a memoria come è fatta la ruota posteriore di troppe biciclette e ha deciso, nell’attimo dell’incoscienza, di provare a fuggire tra salite che hanno pendenze del 7/8% ed in certi punti si arriva anche al 13%. “Me la gioco qui, in salita, me lo dipingo io questo mondo, da solo. E lo chiamo Mortirolo.” Ha gettato tutti i pensieri e ha lasciato che le gambe cominciassero a girare in quei cinque chilometri dove la vittoria era la costruzione perfetta di un’impresa. Il suo volto racconta quei momenti, quasi si deforma e dipinge la fatica, ma le gambe non ascoltano il rumore di nessun organo del corpo e camminano, si arrampicano, accompagnando Fabio Aru verso Cervinia ad urlare a tutti che lui c’era, era lì a disegnare il suo Mortirolo. Fabio ha vinto perché sapeva vincere, ha vinto perché ha saputo perdere. Da oggi Aru ha capito cosa è una corsa a tappe. E perché occorreva perdere per arrivare in vetta. Per un attimo ho rivisto uomini e disegni antichi. Ma solo per un attimo: Aru è il piccolo ginepro travestito da giunco. In ogni caso non si piega. Ed è destinato a durare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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