Stavano insieme da talmente tanto tempo che le loro prime tracce, nella mia vita, le ho trovate in un vecchio album di fotografie, quando ancora le foto si stampavano: un viaggio a Roma, negli anni novanta, io indossavo ridicole magliette attillate e non portavo la barba. In ogni posa ridiamo felici. Gli eterni fidanzati stavano già assieme. Nei vent’anni dopo ci sono sempre stati, in ogni momento importante della mia storia: Il matrimonio, la festa di uno dei primi compleanni di mio figlio e poi ancora a Roma, la mattina che divenni giornalista professionista. Un altro viaggio, più recente, indimenticabile e gioioso. Sulla scrivania ho il loro regalo per la mia laurea. Negli ultimi mesi non ci eravamo sentiti e per questo persistente silenzio avevo avanzato tante e fantasiose ipotesi, alcune al limite del surreale. Che potessero essersi lasciati non era tra queste, non era compresa tra gli scenari possibili. Non ci avevo manco lontanamente pensato, mai. Quasi ogni cosa della vita è liquida e precaria, sempre ci muoviamo su un pavimento friabile rischiando di sprofondare. Due persone che stanno assieme così bene, col passare del tempo, finiscono col sembrare una cosa sola. Gli eterni fidanzati erano una piccola parte della mia vita, una sicurezza, un pilastro, la dimostrazione che non tutto soccombe al fatalismo del “ogni cosa finisce”. Da agnostico, ogni tanto provo a pensare in cosa, di visibile o tangibile, possa materializzarsi l’idea di Dio. In uno sguardo di pura e incondizionata venerazione che rubai alla loro intimità – vergognandomene un po’, in un momento di silenzio, al tavolo di un ristorante, non saprei dire dove e quando – avevo creduto di cogliere l’essenza di quel che per altri è Dio. Nei loro occhi c’era un lampo di eternità invincibile. Ne fui rasserenato anche io.
Quando mi è arrivato il messaggio sul telefono ero a scuola. L’ho riletto tre volte, sono sprofondato sulla sedia e ho interrotto la lezione senza dare spiegazioni. È stato come se, guardandomi allo specchio, non mi fossi riconosciuto. È stato come uscire dalla porta di casa e ritrovarsi in un luogo mai visto prima.
Le storie finiscono, le relazioni personali sono liquide, tutti cambiamo. È egoistico sperare che il mondo debba sempre restare uguale a se stesso per soddisfare il nostro bisogno di certezze e per allontanare la paura dell’imprevedibile. Eppure accettare l’idea della divisione, accettare l’idea che quell’unica cosa torni ad essere due unità distinte ed autonome, è stato difficile come abituarsi all’idea della morte di un amico. Ho visto tante storie procedere per anni sulla lama di un coltello e non ne restavo sorpreso, quando finivano. Erano separazioni attese, a volte augurabili. “Bisogna imparare a lasciarsi”, dice una delle protagoniste femminili in “Perfetti sconosciuti”. Gli eterni fidanzati no, camminavano mano nella mano da una vita e avrei scommesso qualunque cosa su di loro. Quando mi chiedono quale sia stato il momento più triste del 2016, io rispondo: “Quando ho letto quel messaggio”.
Forse degli eterni fidanzati non ve ne frega nulla, ma io ho sempre creduto che Sardegnablogger serva a raccontare anche queste storie minime, a raffigurare l’amaro in bocca di certe delusioni. Non scriviamo per sostenere progetti politici e non vogliamo farvi credere che, leggendo il nostro blog, il mondo potrà essere un mondo migliore. Buon 2017 a tutti
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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