Io capisco l’urgenza di produrre teoria nell’area indipendentista-ma-non-troppo.
Anche io ci ho provato a dare una definizione di identità in un paio di anni.
Io, Omar Onnis, lo capisco.
Fatto sta, però, che ci ho messo sette anni a dare una definizione di quella cosa scivolosa che chiamiamo “identità”.
Sette anni sette, anche se mi sono limitato all’identità linguistica.
Forse il nostro fuoriclasse avrebbe anche potuto leggersi quello che ho io scritto in proposito.
Il libro, pubblicato un anno fa, si chiama–ma guarda un po’!–“Le identità linguistiche dei sardi”.
Invece il nostro fuoriclasse preferisce improvvisare e riesumare il cadavere di Benedetto Croce–de gustibus non disputandum mest: anche a me piace il formaggio con i vermi.
“Se è vero, come diceva Benedetto Croce, che la nostra identità in fondo non è che la nostra storia, quale identità possono mai avere i Sardi, pure così convinti di averne una e di conoscerla bene, se soffriamo di una così grande e palese ignoranza di noi stessi nello spazio e nel tempo? Credo sia il caso di continuare a chiedercelo e di cercare anche i rimedi al problema, barcamenandoci con tutta l’onestà intellettuale di cui disponiamo tra tentazioni etnocentriche e narrazioni minorizzanti. Si tratta di una questione strategica e non eludibile, su cui vale la pena insistere.” (http://sardegnamondo.eu/2015/03/04/la-parola-creatrice-e-la-rimozione-della-storia/)
Omar parte dall’idea crociana che la storia esista, da qualche parte.
Ma forse non ha capito bene quello che l’ectoplasma gli ha rivelato: “Insufficiente, sin dall’inizio, gli apparve il positivismo a chiarire le ragioni della poesia e della storia, ambedue per il C. conoscenza dell’individuale e pertanto non riducibili a classi di fenomeni naturalisticamente intese, e non spiegabili meccanicisticamente.” (http://www.treccani.it/enciclopedia/benedetto-croce/)
Se la storia è conoscenza dell’individuale, allora essa non può che fornire un’identità individuale.
Cioè nessuna identità.
Perché l’identità non è altro che quell’insieme di caratteristiche e di pratiche che permettono l’identificazione di un individuo.
Ma se un individuo si identifica solo con se stesso–come presuppone il farne discendere l’identità dalla sua storia–che identità ha?
Proviamo a far discendere l’identità “sarda” dalla storia.
I sardi condividono la stessa storia?
Non scherziamo.
La mia storia di figlio di un minatore emiliano non è condivisa dagli altri sardi.
Questo mi rende meno sardo?
Ma neanche i tzeracos di Eleonora hanno condiviso la storia con lei, la Regina.
La storia sarda è quella di Eleonora o quella dei suoi tzeracos?
Come si vede, Omar ha riesumato a sproposito il cadavere verminoso dell’idealismo crociano.
La storia è “conoscenza dell’individuale”.
Per questo non può fornirci un’identità collettiva.
Perché la “Storia” non esiste, mentre esistono i miliardi di storie individuali.
La storia della Sardegna e la storia dei sardi non coincidono.
La Storia della Sardegna è definita unicamente dalla sua geografia–Braudel?– mentre le storie dei sardi sono definite dagli incidenti che le hanno determinate: una per una.
La Storia non esiste.
Bastava fermarsi un’attimo a riflettere.
O anche leggersi quello che altri–tra cui il sottoscritto–hanno scritto già anni fa.
L’identità–cioè quelle pratiche che permettono a te stesso e agli altri di identificarti–te la danno le cose che fai.
A darti un’identità sono le pratiche che condividi con gli altri.
E questo l’ha già detto, tanti anni fa, Judith Butler.
E scusate se è poco.
Per essere sardi, per avere un’identità sarda, bisogna fare quelle cose che fanno solo i sardi.
Fondamentalmente una cosa sola: parlare il sardo.
Semplice, no?
Perché ho scritto quest’articolo?
Per levarmi il gusto di rispondere a un ragazzino saputello che pensa di poter dire in un articolo quello che a malapena si riesce a dire in un libro costato anni di riflessioni e di lavoro.
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